Nell’ambito
della storia delle dottrine politiche sin dall’antichità classica si è avuta la
precisa percezione che la natura stessa stabilisse delle norme oggettive con lo
scopo di disciplinare le relazioni interumane nello stato naturale. Tali norme
trascenderebbero in maniera assoluta qualunque disposizione normativa prescelta
dall’uomo, in quanto ad essa precedenti. Esse sarebbero altresì eterne,
immutabili ed ovunque uguali, essendo l’essere umano ovunque capace di
recepirle mediante il discernimento tra ciò che è lesivo o meno per la
salvaguardia dell’esistenza. E’ infatti generalmente accolta l’idea che le norme
naturali sarebbero recepite attraverso la logica e l’istinto nel momento in cui
si utilizza un retto ragionare congiunto all’innato senso di equità, che
conduce l’uomo a sanzionare i comportamenti e le azioni riprovevoli e a
distribuire punizioni che siano proporzionali all’entità dell’infrazione
stessa. Esse, in altre parole, sarebbero congegnate in modo che venga garantita
sin già allo stato di natura l’elargizione della giustizia.
Ebbene,
questi dettami naturali universali ed immodificabili rappresentano il contenuto
di quella tipologia di diritto che storicamente è stato chiamato diritto
naturale, e che è stato oggetto di studio da parte della dottrina
politico-giuridica del giusnaturalismo.
Come
accennato, la storia del giusnaturalismo affonda le sue radici nel pensiero
politico dell’antichità classica. Volendone tracciare una rapida storia, è
possibile individuare tre principali periodi:
Giusnaturalismo
d’età classica = Già Aristotele intuì che esistesse un
diritto naturale parallelo al diritto statuale positivo. Dice infatti il grande
filosofo greco: “Naturale è quel giusto [diritto] che mantiene ovunque lo
stesso effetto e non dipende dal fatto che ad uno sembra buono oppure no.” Quanto affermato dallo stagirita, come rileva Bobbio, implica che
il diritto naturale abbia ovunque la stessa efficacia e validità e che esso
prescriva azioni il cui valore non dipende dal giudizio che di esso viene dato
singolarmente, ma che esista indipendentemente dal fatto che queste azioni
appaiano buone agli uni o cattive ad altre. Pertanto il diritto naturale
prescrive azioni la cui bontà è obiettiva ed assoluta, ossia una bontà morale
che risulta tale in sé e per sé.
Nel mondo romano la differenza tra diritto
naturale e diritto positivo venne evidenziata con i due termini jus gentium e jus civile. Anche gli autori latini accettavano l’idea che
esistesse, come sottolineato da Bobbio, un diritto naturale
sconfinato posto in essere dalla naturalis
ratio, che avesse le caratteristiche di immutabilità nel tempo e nello
spazio (al contrario del diritto positivo) e che fosse di natura generale ed
ovunque valido. Fu per questo, tra l’altro, che ad esso fu attribuito il nome
di jus gentium, ossia di diritto
delle nazioni, le quali, attraverso di esso e nonostante le loro particolarità
normative e consuetudini, potevano mantenere delle relazioni internazionali
civili, di natura essenzialmente commerciale, che si fondavano sulla buona fede
e sul mantenimento della parola data.
Dallo jus
gentium teorizzato dalla tradizione giuridica romana discende il diritto
internazionale moderno, le cui fonti, proprio come avviene per il diritto
naturale, sono ancora oggi largamente affidate ai principi di buona fede e alla
consuetudine, ossia al rispetto di norme naturali fondate sulla ragione.
Giusnaturalismo
cristiano = Le teorie giusnaturaliste dell’antichità classica
pagana vennero rilette dai grandi filosofi politici cristiani alla luce della
dottrina morale giudaico-cristiana. Essi ritennero che la legge naturale
coincidesse con la legge divina non rivelata che Dio aveva impresso negli animi
degli uomini. La natura, infatti, essendo la progettazione di un’Intelligenza
superiore benevola, detterebbe agli uomini quali comportamenti vadano approvati
e quali invece sanzionati: Dio avrebbe architettato e predisposto gli uomini
affinché potessero comprendere ed interiorizzare le sue leggi, incidendole nelle
menti rette di ognuno. La legge naturale non rivelata non agirebbe in
contrapposizione con la legge divina rivelata, cioè con i comandamenti e le
disposizioni che, secondo la tradizione religiosa giudaico-cristiana, Dio ha
trasmesso al popolo ebraico dopo averlo salvato dalla prigionia egiziana
attraverso il Decalogo e le altre rivelazioni contenute nel Pentateuco, ossia i
cinque Libri della legge mosaica. Al contrario, la legge divina positiva non
farebbe altro che riproporre in termini perentori i princìpi della legge
naturale.
Sant'Agostino |
L’insegnamento cristiano, poi, riassumerà
tutta la legge divina in quest’unico precetto di cui parlano i Vangeli: “Ama il
prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti [l’altro esortava ad
amare Dio] discendono tutta la Legge e i profeti”, ciò che
sottintende di non ledere alcuno nei propri diritti e libertà naturali.
S. Agostino affermò che “la legge eterna
[di Dio] corrisponde alla ragione e alla volontà di Dio e che comanda di
conservare l’ordine naturale e proibire di turbarlo.” E d’Addio
prosegue affermando che “questa legge è costituita dalla coscienza dell’uomo,
si riflette in essa e le consente di percepire i principi primi dei
comportamenti umani, cioè le evidenze morali che sono comuni a tutti gli uomini
e che formano la << legge naturale>>”.
Altro indiscusso sostenitore del
giusnaturalismo cristiano sarà S. Tommaso, assertore dell’idea che le leggi
positive debbano conformarsi al diritto naturale e non contraddirlo. Egli
scrisse:
Per
legge di natura l’uomo è in grado di cogliere la distinzione tra il bene e il
male, di avere il sentimento del giusto e quindi di definire i precetti
relativi al giusto naturale. La legge naturale quindi è la prima forma di
mediazione fra l’uomo e Dio, di cui partecipano tutti gli uomini, nella quale
si fonda la loro umanità, l’autonomia delle loro personalità, e quindi la loro
indipendenza e libertà. La legge naturale sancisce i diritti della personalità
dell’uomo, il diritto alla conservazione della vita, alla propagazione della
specie e quindi alla formazione della famiglia e alla educazione dei figli, a
ricercare la verità a vivere in società.
Considerando
la legge un ordinamento della ragione in vista del bene comune promulgato da
colui cui spetta il governo della comunità, S.Tommaso intendeva dire che se
essa si fosse rivelata contraria alla ragione naturale non sarebbe stata più
cogente o valida. Quest’asserzione comporta implicitamente la giustificazione
del tirannicidio, cioè l’uccisione del detentore del potere sovrano che lo
utilizza per emanare disposizioni contrarie alla legge di Dio, ciò che agli
occhi di Hobbes apparirebbe un abominio. Sennonché il travagliato dibattito
circa l’obbedienza o la resistenza al potere politico costituito, ossia circa
la liceità o meno della monarcomachia e del tirannicidio, trascende dall'oggetto del presente resoconto.
Giusnaturalismo
moderno = L’età moderna prosegue la tradizione giusnaturalista
arricchendone a volte i contenuti con tratti più marcatamente razionalisti,
laici e liberali. L’esigenza di ricercare delle norme naturali universali si
fece forte, in epoca moderna, come conseguenza del tentativo di ripristinare
l’ordine europeo turbato dal diffondersi della Riforma protestante, dal
tramonto dell’universalismo cattolico-imperiale, dalle guerre di religione e
dalla più netta separazione tra Chiesa e Stato.
Tra i più celebri giusnaturalisti moderni
possiamo citare Suarez, Grozio, in parte Hobbes, Spinoza e Locke.
Grozio ci offre una descrizione molto
accurata del diritto naturale:
Hugo Grotius |
Il
diritto naturale è un dettame della retta ragione, rivolto a mostrare che un
atto è turpe o moralmente necessario secondo che sia o non sia conforme alla
stessa <<natura razionale>> dell’uomo, e a far vedere che tale atto
è in conseguenza di ciò vietato o comandato da Dio, in quanto autore della
natura.
Ed
aggiunge: “Gli atti riguardo ai quali esiste un tale dettame della retta
ragione sono obbligatori o illeciti di per se stessi.”
Per
Grozio, che si può ben considerare uno dei padri del diritto internazionale
moderno, il diritto naturale, tra le altre cose, assume particolare importanza
nell’ambito delle relazioni internazionali, specialmente per ciò che riguarda
la salvaguardia e il rispetto del regime di libertà che deve caratterizzare le
acque internazionali.
Suarez
era convinto che il diritto di natura dovesse essere la fonte primaria del
diritto positivo; per il gesuita spagnolo, infatti, sussistono sulla base del
diritto di natura una serie di norme fondamentali che regolano l’esistenza
della comunità politica, per le quali il potere politico non può essere considerato
in alcun modo assoluto e non riveste alcuna funzione sacrale, nel senso che chi
lo detiene non può rivendicare un’investitura divina, che lo sottragga al
controllo della stessa comunità. Quindi risulta chiaro che il
potere sovrano troverebbe dei precisi vincoli nel diritto naturale, che
renderebbe “costituzionali” le decisioni e gli atti sovrani.
Hobbes non può
essere considerato un giusnaturalista in senso pieno, dal momento che tutto il
suo pensiero politico si concentra sull’idea che per evitare la guerra totale
di tutti contro tutti si debba costituire mediante patto uno Stato che poggi le
sue fondamenta su norme positive prescelte dal sovrano; ad esse si è tenuti in
ogni caso ad obbedire, purché non prescrivano qualcosa di lesivo nei confronti
della sopravvivenza umana, essendo la salvaguardia della quale proprio la
ragione per cui si fuoriuscì dallo stato di natura. Ciononostante, anche Hobbes
approfondisce con interesse quelle che sono le condizioni umane naturali e ci offre
una rilevante definizione di legge di natura: “Dunque la legge naturale è, per definirla, un dettame della retta ragione
riguardo a ciò che si deve fare o non fare per conservare, quanto più a lungo
possibile, la vita e le membra.”
Hobbes stesso elenca ben ventuno leggi di
natura che, se rispettate, consentirebbero di far cessare lo stato di guerra
naturale. La prima, che è quella da cui discendono tutte le altre, è che si è
tenuti a ricercare la pace (o alternativamente trovare degli alleati per la
guerra). Afferma poi il grande filosofo inglese che l’unica disposizione
naturale di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe venga fatto a noi
stessi racchiude in se stessa tutte le altre.
Le norme naturali di Hobbes, volte a
rendere meno precaria la sopravvivenza in natura, farebbero pensare che il
filosofo, a dispetto di quanto comunemente si creda, accetterebbe l’idea di
permanere allo stato di natura ed evitare di costituire una società politica
parallela (sebbene manchi il potere supremo statuale che le faccia rispettare
ed eseguire). Anche Hobbes, infine, accetta l’idea che le leggi di natura
corrispondano alla legge eterna di Dio.
Con Spinoza il diritto naturale si colora
di tratti razionalistici e democratici. Il filosofo olandese di origini
ebraico-portoghesi, sosteneva che l’istituzione della società politica mediante
patto sociale costituisse un male minore rispetto alla società di natura. E,
pertanto, la legge di natura, secondo cui si regola l’individuo, è quella che
gli fa preferire un bene maggiore, cioè una utilità maggiore ad una minore, o
un danno minore ad uno maggiore. Perciò, la legge di natura, che
si fonda sulla ragione, porterebbe ad istituire una società politica democratica
e tollerante che sia legittimata da un potere sovrano alimentato dalla volontà
della collettività dei cittadini, un po’ come in parte si era realizzato nella
Repubblica delle Province Unite d’Olanda, dove dal Portogallo Spinoza si era
rifugiato.
Anche nel pensiero liberale di Locke, e
con esso terminiamo, la legge di natura è considerata come garante delle
libertà fondamentali dell’uomo. Nel momento in cui si volesse istituire una
società politica occorrerebbe costruirla sulle prerogative che prescrive il
diritto naturale, ossia sulla tutela della propria persona, della propria
salute e incolumità, della proprietà privata, della libertà di coscienza e
della tolleranza ed uguaglianza naturale. Infatti, l’affermazione lockiana del
primato della ragione, della legge di natura, sulla quale si fonda la libertà
dell’individuo, si completa nell’affermazione della tolleranza come il valore
centrale introno al quale deve organizzarsi la società politica.
In conclusione, l’idea che esista un diritto naturale
che prescriva in natura delle precise
regole da osservare è, come visto, molto antica e continuerà ad avere grande
importanza nella storia del pensiero europeo fino almeno al tardo ‘700. Solo
allora, infatti, l’idea di diritto naturale perderà sempre più influenza e peso
di pari passo con il diffondersi delle prime codificazioni positive europee
poste in essere dai cosiddetti despoti illuminati al fine di garantire maggiori
certezze giuridiche e per contrastare i particolarismi.
Tra XIX e XX secolo il diritto statuale positivo sostituirà
in maniera completa il diritto naturale.
Riferimenti bibliografici:
N. Bobbio, Il Positivismo Giuridico,
Torino, Giappichelli, 1996.
M. d’Addio, Storia delle Dottrine
Politiche, Genova, ECIG, 2002.
U. Grozio, Mare Liberum, Napoli, Liguori, 2007.
T. Hobbes, De Cive, Roma,
Editori Riuniti, 2005.
T. Hobbes, Leviatano, Bari,
Laterza, 2010.
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