mercoledì 18 febbraio 2015

Lo stato di natura e il diritto naturale



Nell’ambito della storia delle dottrine politiche sin dall’antichità classica si è avuta la precisa percezione che la natura stessa stabilisse delle norme oggettive con lo scopo di disciplinare le relazioni interumane nello stato naturale. Tali norme trascenderebbero in maniera assoluta qualunque disposizione normativa prescelta dall’uomo, in quanto ad essa precedenti. Esse sarebbero altresì eterne, immutabili ed ovunque uguali, essendo l’essere umano ovunque capace di recepirle mediante il discernimento tra ciò che è lesivo o meno per la salvaguardia dell’esistenza. E’ infatti generalmente accolta l’idea che le norme naturali sarebbero recepite attraverso la logica e l’istinto nel momento in cui si utilizza un retto ragionare congiunto all’innato senso di equità, che conduce l’uomo a sanzionare i comportamenti e le azioni riprovevoli e a distribuire punizioni che siano proporzionali all’entità dell’infrazione stessa. Esse, in altre parole, sarebbero congegnate in modo che venga garantita sin già allo stato di natura l’elargizione della giustizia.
Ebbene, questi dettami naturali universali ed immodificabili rappresentano il contenuto di quella tipologia di diritto che storicamente è stato chiamato diritto naturale, e che è stato oggetto di studio da parte della dottrina politico-giuridica del giusnaturalismo.
Come accennato, la storia del giusnaturalismo affonda le sue radici nel pensiero politico dell’antichità classica. Volendone tracciare una rapida storia, è possibile individuare tre principali periodi:

Giusnaturalismo d’età classica = Già Aristotele intuì che esistesse un diritto naturale parallelo al diritto statuale positivo. Dice infatti il grande filosofo greco: “Naturale è quel giusto [diritto] che mantiene ovunque lo stesso effetto e non dipende dal fatto che ad uno sembra buono oppure no.” Quanto affermato dallo stagirita, come rileva Bobbio, implica che il diritto naturale abbia ovunque la stessa efficacia e validità e che esso prescriva azioni il cui valore non dipende dal giudizio che di esso viene dato singolarmente, ma che esista indipendentemente dal fatto che queste azioni appaiano buone agli uni o cattive ad altre. Pertanto il diritto naturale prescrive azioni la cui bontà è obiettiva ed assoluta, ossia una bontà morale che risulta tale in sé e per sé. 
Nel mondo romano la differenza tra diritto naturale e diritto positivo venne evidenziata con i due termini jus gentium e jus civile. Anche gli autori latini accettavano l’idea che esistesse, come sottolineato da Bobbio, un diritto naturale sconfinato posto in essere dalla naturalis ratio, che avesse le caratteristiche di immutabilità nel tempo e nello spazio (al contrario del diritto positivo) e che fosse di natura generale ed ovunque valido. Fu per questo, tra l’altro, che ad esso fu attribuito il nome di jus gentium, ossia di diritto delle nazioni, le quali, attraverso di esso e nonostante le loro particolarità normative e consuetudini, potevano mantenere delle relazioni internazionali civili, di natura essenzialmente commerciale, che si fondavano sulla buona fede e sul mantenimento della parola data.
Dallo jus gentium teorizzato dalla tradizione giuridica romana discende il diritto internazionale moderno, le cui fonti, proprio come avviene per il diritto naturale, sono ancora oggi largamente affidate ai principi di buona fede e alla consuetudine, ossia al rispetto di norme naturali fondate sulla ragione.
    
Giusnaturalismo cristiano = Le teorie giusnaturaliste dell’antichità classica pagana vennero rilette dai grandi filosofi politici cristiani alla luce della dottrina morale giudaico-cristiana. Essi ritennero che la legge naturale coincidesse con la legge divina non rivelata che Dio aveva impresso negli animi degli uomini. La natura, infatti, essendo la progettazione di un’Intelligenza superiore benevola, detterebbe agli uomini quali comportamenti vadano approvati e quali invece sanzionati: Dio avrebbe architettato e predisposto gli uomini affinché potessero comprendere ed interiorizzare le sue leggi, incidendole nelle menti rette di ognuno. La legge naturale non rivelata non agirebbe in contrapposizione con la legge divina rivelata, cioè con i comandamenti e le disposizioni che, secondo la tradizione religiosa giudaico-cristiana, Dio ha trasmesso al popolo ebraico dopo averlo salvato dalla prigionia egiziana attraverso il Decalogo e le altre rivelazioni contenute nel Pentateuco, ossia i cinque Libri della legge mosaica. Al contrario, la legge divina positiva non farebbe altro che riproporre in termini perentori i princìpi della legge naturale.
Sant'Agostino
L’insegnamento cristiano, poi, riassumerà tutta la legge divina in quest’unico precetto di cui parlano i Vangeli: “Ama il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti [l’altro esortava ad amare Dio] discendono tutta la Legge e i profeti”, ciò che sottintende di non ledere alcuno nei propri diritti e libertà naturali.
S. Agostino affermò che “la legge eterna [di Dio] corrisponde alla ragione e alla volontà di Dio e che comanda di conservare l’ordine naturale e proibire di turbarlo.” E d’Addio prosegue affermando che “questa legge è costituita dalla coscienza dell’uomo, si riflette in essa e le consente di percepire i principi primi dei comportamenti umani, cioè le evidenze morali che sono comuni a tutti gli uomini e che formano la << legge naturale>>”.
Altro indiscusso sostenitore del giusnaturalismo cristiano sarà S. Tommaso, assertore dell’idea che le leggi positive debbano conformarsi al diritto naturale e non contraddirlo. Egli scrisse:

Per legge di natura l’uomo è in grado di cogliere la distinzione tra il bene e il male, di avere il sentimento del giusto e quindi di definire i precetti relativi al giusto naturale. La legge naturale quindi è la prima forma di mediazione fra l’uomo e Dio, di cui partecipano tutti gli uomini, nella quale si fonda la loro umanità, l’autonomia delle loro personalità, e quindi la loro indipendenza e libertà. La legge naturale sancisce i diritti della personalità dell’uomo, il diritto alla conservazione della vita, alla propagazione della specie e quindi alla formazione della famiglia e alla educazione dei figli, a ricercare la verità a vivere in società.

Considerando la legge un ordinamento della ragione in vista del bene comune promulgato da colui cui spetta il governo della comunità, S.Tommaso intendeva dire che se essa si fosse rivelata contraria alla ragione naturale non sarebbe stata più cogente o valida. Quest’asserzione comporta implicitamente la giustificazione del tirannicidio, cioè l’uccisione del detentore del potere sovrano che lo utilizza per emanare disposizioni contrarie alla legge di Dio, ciò che agli occhi di Hobbes apparirebbe un abominio. Sennonché il travagliato dibattito circa l’obbedienza o la resistenza al potere politico costituito, ossia circa la liceità o meno della monarcomachia e del tirannicidio, trascende dall'oggetto del presente resoconto.

Giusnaturalismo moderno = L’età moderna prosegue la tradizione giusnaturalista arricchendone a volte i contenuti con tratti più marcatamente razionalisti, laici e liberali. L’esigenza di ricercare delle norme naturali universali si fece forte, in epoca moderna, come conseguenza del tentativo di ripristinare l’ordine europeo turbato dal diffondersi della Riforma protestante, dal tramonto dell’universalismo cattolico-imperiale, dalle guerre di religione e dalla più netta separazione tra Chiesa e Stato.
Tra i più celebri giusnaturalisti moderni possiamo citare Suarez, Grozio, in parte Hobbes, Spinoza e Locke.
Grozio ci offre una descrizione molto accurata del diritto naturale:

Hugo Grotius
Il diritto naturale è un dettame della retta ragione, rivolto a mostrare che un atto è turpe o moralmente necessario secondo che sia o non sia conforme alla stessa <<natura razionale>> dell’uomo, e a far vedere che tale atto è in conseguenza di ciò vietato o comandato da Dio, in quanto autore della natura. 

Ed aggiunge: “Gli atti riguardo ai quali esiste un tale dettame della retta ragione sono obbligatori o illeciti di per se stessi.”
Per Grozio, che si può ben considerare uno dei padri del diritto internazionale moderno, il diritto naturale, tra le altre cose, assume particolare importanza nell’ambito delle relazioni internazionali, specialmente per ciò che riguarda la salvaguardia e il rispetto del regime di libertà che deve caratterizzare le acque internazionali.
Suarez era convinto che il diritto di natura dovesse essere la fonte primaria del diritto positivo; per il gesuita spagnolo, infatti, sussistono sulla base del diritto di natura una serie di norme fondamentali che regolano l’esistenza della comunità politica, per le quali il potere politico non può essere considerato in alcun modo assoluto e non riveste alcuna funzione sacrale, nel senso che chi lo detiene non può rivendicare un’investitura divina, che lo sottragga al controllo della stessa comunità. Quindi risulta chiaro che il potere sovrano troverebbe dei precisi vincoli nel diritto naturale, che renderebbe “costituzionali” le decisioni e gli atti sovrani.
Hobbes  non può essere considerato un giusnaturalista in senso pieno, dal momento che tutto il suo pensiero politico si concentra sull’idea che per evitare la guerra totale di tutti contro tutti si debba costituire mediante patto uno Stato che poggi le sue fondamenta su norme positive prescelte dal sovrano; ad esse si è tenuti in ogni caso ad obbedire, purché non prescrivano qualcosa di lesivo nei confronti della sopravvivenza umana, essendo la salvaguardia della quale proprio la ragione per cui si fuoriuscì dallo stato di natura. Ciononostante, anche Hobbes approfondisce con interesse quelle che sono le condizioni umane naturali e ci offre una rilevante definizione di legge di natura: “Dunque la legge naturale è, per definirla, un dettame della retta ragione riguardo a ciò che si deve fare o non fare per conservare, quanto più a lungo possibile, la vita e le membra.”
Hobbes stesso elenca ben ventuno leggi di natura che, se rispettate, consentirebbero di far cessare lo stato di guerra naturale. La prima, che è quella da cui discendono tutte le altre, è che si è tenuti a ricercare la pace (o alternativamente trovare degli alleati per la guerra). Afferma poi il grande filosofo inglese che l’unica disposizione naturale di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe venga fatto a noi stessi racchiude in se stessa tutte le altre.
Le norme naturali di Hobbes, volte a rendere meno precaria la sopravvivenza in natura, farebbero pensare che il filosofo, a dispetto di quanto comunemente si creda, accetterebbe l’idea di permanere allo stato di natura ed evitare di costituire una società politica parallela (sebbene manchi il potere supremo statuale che le faccia rispettare ed eseguire). Anche Hobbes, infine, accetta l’idea che le leggi di natura corrispondano alla legge eterna di Dio.
Con Spinoza il diritto naturale si colora di tratti razionalistici e democratici. Il filosofo olandese di origini ebraico-portoghesi, sosteneva che l’istituzione della società politica mediante patto sociale costituisse un male minore rispetto alla società di natura. E, pertanto, la legge di natura, secondo cui si regola l’individuo, è quella che gli fa preferire un bene maggiore, cioè una utilità maggiore ad una minore, o un danno minore ad uno maggiore. Perciò, la legge di natura, che si fonda sulla ragione, porterebbe ad istituire una società politica democratica e tollerante che sia legittimata da un potere sovrano alimentato dalla volontà della collettività dei cittadini, un po’ come in parte si era realizzato nella Repubblica delle Province Unite d’Olanda, dove dal Portogallo Spinoza si era rifugiato.
Anche nel pensiero liberale di Locke, e con esso terminiamo, la legge di natura è considerata come garante delle libertà fondamentali dell’uomo. Nel momento in cui si volesse istituire una società politica occorrerebbe costruirla sulle prerogative che prescrive il diritto naturale, ossia sulla tutela della propria persona, della propria salute e incolumità, della proprietà privata, della libertà di coscienza e della tolleranza ed uguaglianza naturale. Infatti, l’affermazione lockiana del primato della ragione, della legge di natura, sulla quale si fonda la libertà dell’individuo, si completa nell’affermazione della tolleranza come il valore centrale introno al quale deve organizzarsi la società politica.

In conclusione, l’idea che esista un diritto naturale che prescriva in natura delle precise regole da osservare è, come visto, molto antica e continuerà ad avere grande importanza nella storia del pensiero europeo fino almeno al tardo ‘700. Solo allora, infatti, l’idea di diritto naturale perderà sempre più influenza e peso di pari passo con il diffondersi delle prime codificazioni positive europee poste in essere dai cosiddetti despoti illuminati al fine di garantire maggiori certezze giuridiche e per contrastare i particolarismi.

Tra XIX e XX secolo il diritto statuale positivo sostituirà in maniera completa il diritto naturale.



Riferimenti bibliografici:

N. Bobbio, Il Positivismo Giuridico, Torino, Giappichelli, 1996.

M. d’Addio, Storia delle Dottrine Politiche, Genova, ECIG, 2002.

U. Grozio, Mare Liberum, Napoli, Liguori, 2007.

T. Hobbes, De Cive, Roma, Editori Riuniti, 2005.

T. Hobbes, Leviatano, Bari, Laterza, 2010.










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