Abbiamo già visto in precedenti articoli come, almeno in teoria, la disciplina dei rapporti inter-umani allo stato naturale non siano affidati in maniera totale al caso. Esisterebbero
infatti delle norme naturali tacite che gli uomini savi sarebbero capaci di
intuire ed interiorizzare in maniera pressoché automatica e che consentirebbero
loro di vivere insieme in condizioni ragionevoli. Le consuetudini di ogni popolazione
del mondo hanno attinto, in tutte le epoche, le peculiarità delle loro
disposizioni dalle norme naturali, e nella quasi totalità dei casi si sono
diffuse e consolidate grazie ad una parvenza di legittimazione di origine
divina che le rivestiva.
San Tommaso d'Aquino |
Sarà opportuno, ora,
considerare come il superamento, reale o ipotetico, dello stato naturale abbia
comportato la nascita di società civili che non necessariamente fondavano la
loro legislazione su dettami naturali. Si è già visto, infatti, come alcuni giusnaturalisti
- specialmente cristiani – insistessero affinché il diritto positivo, ossia il
diritto statuale particolaristico, trovasse fondamento e giustificazione nelle
disposizioni del diritto naturale, ossia, a loro modo di vedere, nel diritto
divino. Alcuni di essi, come S. Tommaso, arrivarono perfino a considerare la
liceità del tirannicidio nei confronti di un sovrano che, legiferando, avesse
abbandonato il lume naturale delle norme divine.
E, tuttavia, vi sono
stati storicamente degli esempi di legislazione positiva decisamente in
contrasto con le leggi naturali. Valga per tutti, anche se certo non è il solo,
il celebre caso (che forse rappresenta l’esempio più lampante di diritto
positivo “al di là del bene e del male”) della legislazione razziale ed
eugenetica posta in essere dal regime nazionalsocialista in Germania e, in
parte, dal regime fascista in Italia, che porterà al triste epilogo di uno
sterminio etnico.
L'approvazione delle leggi razziali nell'Italia fascista |
Le stesse società
contemporanee ci mostrano ancora come il diritto positivo possa essere usato
per rendere incerti dei diritti inalienabili quale quello alla vita. Basti
pensare alla legislazione positiva abortista e sostenitrice dell'eutanasia vigente in
numerosi Stati. O ancora quella legislazione tipica dei Paesi governati da
regimi di stampo marxista-populista che in passato - e in diversi casi ancora
oggi – ha limitato il diritto di godere di beni di proprietà privata o ha
ostacolato notevolmente la possibilità dei cittadini di usufruire dei benefici
economici provenienti dall'economia aperta, dal libero commercio e dalla
libertà d’iniziativa economica privata. O infine tipi di legislazione che nel
corso della storia in più occasioni hanno legittimato la schiavitù, la tortura,
la deportazione, la persecuzione, la discriminazione e l’intolleranza, e che,
finalmente, il diritto internazionale umanitario ha abolito e penalizzato nel
corso del secolo scorso: basti vedere a riguardo le principali decisioni prese a salvaguardia
della persona umana con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali.
Questa breve premessa ci
mostra come in certi casi il diritto positivo possa trasformarsi, come
molte volte è avvenuto, in uno strumento
di giustificazione di comportamenti criminali in contrasto con i principi che
sorreggono l’ordine naturale delle cose. Prima di proseguire oltre, però,
occorre soffermarsi sul concetto di diritto positivo. Cosa si intende, infatti,
con questo termine?
Il diritto positivo è,
parafrasando l’elenco delle caratteristiche che di esso ne offre Bobbio,
un diritto “particolare” e “mutevole”, derivante dalla volontà del detentore
della sovranità politica e contenente disposizioni non necessariamente buone o
cattive in sé e per sé, ed incentrate soprattutto sull'utilità, ossia considerate
come mezzi per raggiungere uno scopo desiderabile ai fini e per il bene dello
Stato stesso. Esso è particolare perché ha vigore solo entro i confini
statuali, ed è mutevole perché il legislatore che l’ha posto in essere può
abrogarlo in ogni momento.
In ultima analisi,
quindi, quando si parla di diritto positivo ci si riferisce al diritto statuale
imperativo che una volontà particolaristica dotata di sovranità politica ha
posto in essere, sia essa quella del Re nel caso di una monarchia assoluta, sia
essa del Re e del Parlamento insieme come nel caso di una monarchia costituzionale,
sia essa del Parlamento come nel caso di una repubblica parlamentare.
Da quanto scritto appare
chiaro che fino a quando le leggi positive mantengono un contatto con quelle
naturali e, magari, ne ricalchino l’immagine, non sorgono problemi di entità seria.
Ma quando invece le travalicano,
per ciò stesso esse diventerebbero ingiuste e “perverse”, e tuttavia, essendo
leggi, il loro potere cogente non potrebbe essere messo in discussione da
nessuno e dovrebbero essere in ogni caso eseguite e rispettate. L’idea alla
base del diritto positivo è che esso debba essere applicato indipendentemente
da ciò che il giudizio dei singoli ne abbia a riguardo. Naturalmente i
giuspositivisti savi comprendono subito che il diritto positivo non può essere
disgiunto dalla ragione e dal buon senso, che operano spontaneamente per
garantire la salvaguardia dell’uomo nel mondo. Montesquieu, ad esempio, sostiene
proprio che la legge positiva debba seguire i principi della ragione umana.
Dice infatti il filosofo francese:
Montesquieu |
La legge, in generale, è la ragione umana, in quanto
governa tutti i popoli della terra, e le leggi politiche e civili [ossia le
leggi positive] di ogni nazione non devono costituire che i casi particolari ai
quali si applica questa ragione umana.
Si è visto come con la
diffusione del modello di Stato nazionale moderno il diritto positivo abbia
sostituito in toto il diritto
naturale. Molto spesso esso ha ribadito in forma chiara e cogente i principi della ragione naturale, altre volte è servito da strumento per imporre
un’ideologia politica che non sempre si atteneva a quei principi. In alcune
società la religione ne ha fatto da sfondo, come nel caso dei Paesi islamici in
cui vigeva o vige la shari’a, ossia
la legge coranica; in altri è stato utilizzato per soppiantare la religione
stessa, come avvenuto in alcuni Paesi comunisti.
E’ indubbio, però, che,
nonostante i suoi difetti, il diritto positivo possiede anche dei pregi. Esso,
infatti, ha svolto almeno tre funzioni storiche fondamentali:
1) Ha
reso il diritto certo. Prima delle codificazioni normative, infatti, i
particolarismi giuridici e le consuetudini locali offrivano un panorama caotico
degli ordinamenti giuridici statuali.
2) Ha
contribuito a diffondere l’uguaglianza giuridica. Grazie ad esso, infatti, i
privilegi cetuali tipici degli Ständestatt,
ossia gli Stati di stati di antica matrice feudale, sono poi scomparsi. Ogni
uomo all'interno dello Stato è stato trasformato in cittadino, cioè in un unico
soggetto giuridico con facoltà ed oneri eguali dinnanzi alla legge.
3) Ha
gettato le basi per la diffusione del modello di Stato di diritto, ossia di una
forma di Stato ben disciplinata in cui ogni aspetto giuridicamente rilevante
della vita civile è regolato da norme organiche ed omogenee.
Per
concludere, il diritto positivo statuale non è inaccettabile. I vantaggi che
può garantire, quali la certezza giuridica, l’uguaglianza dinnanzi alla legge e
l’organicità della normazione, possono offuscarne gli svantaggi. E’ però
fondamentale che, come visto, il suo utilizzo non sia mai disgiunto dal
corretto uso della ragione umana e che esso sia posto in essere a beneficio
della giustizia sociale, del benessere economico e, per quanto possibile, del
miglioramento delle condizioni di vita umane in uno Stato. Esso dovrebbe essere
coerente con le prerogative inalienabili di cui ogni essere umano è dotato
relative alla tutela della sua vita, della sua dignità, della sua incolumità e
- perché no? – della sua felicità. In una parola, esso deve costituire lo
strumento a difesa della salvaguardia della persona umana e del pianeta in cui
vive. E pensiamo che quest’asserzione possa essere considerata accettabile
dalla maggioranza delle persone, siano esse di orientamento cristiano, liberale
o socialista.
Una
disposizione normativa positiva che ordinasse a tutti i consociati alti più di
un metro e ottanta di gettarsi dalla finestra più alta della loro abitazione, a
mezzogiorno, vestendo in abito blu, non dovrebbe essere de facto eseguita, in quanto irrazionale ed immorale: se ancora
vivesse qualcuno di savio presso quella popolazione sarebbe suo dovere di
sottoporre a fermo il legislatore, farlo svernare in un efficiente istituto di
igiene mentale e costringerlo, dopo la cura, ad abrogare simile disposizione.
Riferimenti bibliografici:
N. Bobbio, Il Positivismo Giuridico,
Torino, Giappichelli, 1996.
C-L. de Montesquieu, Lo Spirito
delle Leggi, Milano, BUR, 2007.
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