domenica 15 febbraio 2015

Le forme di governo nella Storia delle Dottrine Politiche


Nella storia delle dottrine politiche, leggendo le pagine dei filosofi, si resta impressionati nel vedere quanta passione e quanti sforzi sono stati dedicati all'analisi comparata delle forme di governo.
Sin dall'antichità, come vedremo, era abitudine confrontare le costituzioni esistenti in vista della scelta della migliore possibile. E, generalmente parlando, ci si rese conto che per stabilire quale sia la forma di governo che sorregge uno Stato fosse necessario ritrovare l’individuo o l’assemblea di individui che deteneva il potere sovrano. In altre parole, quindi, governo e sovranità sono praticamente la stessa cosa; non è possibile, infatti, governare uno Stato senza sovranità, né detenere la sovranità senza condurre il governo o quantomeno legittimarlo attraverso di essa.
Così stando le cose, si è visto come a detenere la sovranità possano essere o un solo individuo, o un numero ristretto di individui, oppure un numero elevato di essi: da ciò è emersa la classica tripartizione dei governi in monarchie, aristocrazie e democrazie.
Aristotele
Tutto ebbe inizio con Platone. Egli, infatti, fu probabilmente il primo filosofo ad interessarsi in maniera organica ed approfondita alle forme di governo del mondo allora conosciuto. Nelle Leggi il grande filosofo ateniese immagina che alcuni uomini siano scampati ad un diluvio, e, dandone una descrizione delle loro probabili condizioni in natura, egli afferma che la prima forma di governo che essi avrebbero adottato doveva essere il patriarcato. Questi uomini dispersi e allo stato primitivo si sarebbero riuniti in tribù e stirpi gentilizie, affidando il comando ai più anziani delle stesse, ossia i patriarchi, che esercitavano il potere sulla comunità applicando la legge consuetudinaria degli avi. La riunione di più stirpi e tribù insieme comportò l’unificazione del diritto e la nascita di organismi politici più grandi: si passerà così dalla forma di governo patriarcale a una forma di governo più complessa. Poco dopo, infatti, Platone afferma che esistono solo due forme di governo, che sarebbero madri per tutte le altre, e cioè la monarchia e la democrazia; tutte le altre consisterebbero in varianti di queste. Il filosofo conclude il ragionamento affermando che la costituzione perfetta è solo quella che partecipa di ambedue le forme di governo (oggi, forse, si direbbe che intendeva riferirsi alla monarchia parlamentare). La degenerazione della monarchia avverrebbe allorché il sovrano agisca a proprio arbitrio e muti in despota (viene riportato l’esempio del Re dei Re dei Persiani). La democrazia è considerata anch’essa una sorta di degenerazione, dal momento che l’assoluta libertà concederebbe un potere troppo irresistibile, non controbilanciato e circoscritto da altre forze politiche.
Sulla scia di Platone, anche Aristotele volle proseguire lo studio delle diverse forme di costituzioni statuali, approfondendone la trattazione nelle pagine della Politica. Egli, facendo innanzitutto coincidere il potere supremo dello Stato, ossia la sovranità, con la sua costituzione politica, tripartisce come segue le forme di governo:

Poiché costituzione e governo significano la stessa cosa e il governo è il potere sovrano nella città [nello Stato] è necessario che il potere sovrano sia esercitato da uno solo, da pochi, o da più […]. Abbiamo l’abitudine di chiamare regno quel governo monarchico che si propone l’utile pubblico e aristocrazia il governo di pochi, non di uno solo, sia che il governo sia in uno dei migliori sia che si interessi di ottenere il maggior bene possibile per la città e i cittadini. Quando la massa regge il governo in vista dell’utile pubblico, a questa forma di governo si dà il nome di <<regime costituzionale>> [πολιτία] con cui si designano in comune tutte le costituzioni.

Secondo Aristotele, tutte le sopracitate costituzioni statuali sono soggette a degenerazione, la quale si manifesta quando l’interesse privato cancella quello pubblico:

Quando uno solo, pochi o più esercitano il potere in vista dell’interesse comune, allora si hanno necessariamente le costituzioni rette; mentre quando l’uno o i pochi o i più esercitano il potere nel loro privato interesse, allora si hanno le deviazioni.
Le degenerazioni che sortiscono dalle costituzioni rette sono:

La tirannide rispetto al regno, l’oligarchia rispetto all'aristocrazia e la democrazia rispetto al regime costituzionale [πολιτία]. Infatti la tirannide è il governo monarchico esercitato in favore del monarca, l’oligarchia mira all'interesse dei ricchi, la democrazia a quello dei poveri, ma nessuna di queste forme mira all'utilità comune.

Polibio, nel II secolo a.C., sviluppò due importantissime teorie: la teoria dello sviluppo ciclico delle costituzioni (πολιτειῶν ανακύκλοσις) e la teoria del governo misto (μικτὴ πολιτεία). Facendo partire la sua analisi dalle sei forme di governo (tre rette e tre degenerate) di Aristotele, Polibio sostiene che ogni forma retta è destinata a precipitare nella corrispettiva forma degenerata, dando origine così ad un processo storico ciclico delle costituzioni scandito in sei fasi:

1) Monarchia → 2) Tirannide → 3) Aristocrazia → 4) Oligarchia → 5) Democrazia → 6) Oclocrazia

Alla fine del processo si tornerebbe al principio, ossia dall'oclocrazia nuovamente alla monarchia. Al contempo, Polibio teorizza pure il concetto di governo misto. A suo modo di vedere, il governo misto sarebbe l’unico mezzo capace di ostacolare il processo di corruzione dei sistemi politici, in quanto capace di prevenire attraverso un ordinamento controbilanciato gli eccessi di autorità e di potere. Per il filosofo greco un esempio di governo misto è quello della Roma repubblicana, essendo una sintesi delle forme di governo monarchica, aristocratica e democratica. Guardando infatti al potere dei due Consoli annuali lo Stato romano appariva monarchico; guardando al Senato appariva aristocratico; guardando alla volontà popolare espressa nei Comizi e al potere dei Tribuni della plebe appariva democratico.
Facendo un notevole balzo in avanti fino ad arrivare all’età moderna, ecco Machiavelli che ci concede la celebre bipartizione delle forme di governo:

Niccolò Machiavelli
Tutti gli stati, tutti e dominii che hanno avuto e hanno imperio sopra li uomini,
sono stati e sono o republiche o principati.

Anche Hobbes ci fece pervenire una ricca descrizione delle forme di governo:

La differenza fra gli Stati consiste nella differenza dei sovrani, ossia delle persone che rappresentano tutti e ciascuno degli appartenenti alla moltitudine. Ora, considerato che la sovranità risiede o in un solo uomo o in un’assemblea composta da più d’uno, e che in quest’assemblea hanno diritto di entrare o (non tutti ma) solo certuni distinti dagli altri, è evidente che non ci possono essere che tre specie di Stato. Infatti, il rappresentante non può che essere o un uomo singolo o più uomini; e, nel caso di più uomini, allora si tratta di un’assemblea che comprende o tutti o solo una parte. Quando il rappresentante è un uomo singolo allora lo Stato è una MONARCHIA; quando è un’assemblea aperta a tutti coloro che vorranno riunirsi, allora è una DEMOCRAZIA o Stato popolare; quando un’assemblea di una parte solamente, allora si chiama ARISTOCRAZIA. Non ci può essere alcun’altra specie di Stato; infatti il potere sovrano (che ho mostrato essere indivisibile) deve appartenere integralmente o a un uomo singolo o a più uomini o a tutti.

Il filosofo inglese sostiene anche che la tirannia, l’oligarchia e l’anarchia non siano forme di governo in sé e per sé, bensì solo il nome che della monarchia, dell’aristocrazia e della democrazia ne danno i loro denigratori. In altre parole, esse sarebbero solo delle categorie di giudizio, quindi esclusivamente soggettive.
Ecco invece come viene trattato l’argomento da Locke:

John Locke
La maggioranza avendo naturalmente in sé, come è stato dimostrato, l’intero potere della comunità fin dal momento in cui gli uomini si uniscono in società, può servirsi di tutto quel potere per fare di volta in volta leggi per la comunità e per renderle esecutive per mezzo di funzionari da lei stessa designati [poteri legislativo ed esecutivo]. In questo caso la forma di governo è una perfetta democrazia. Oppure può porre il potere di far leggi nelle mani di pochi uomini scelti e dei loro eredi e successori, e allora è un’oligarchia. O ancora nelle mani di un solo uomo, e allora è una monarchia: se a lui e ai suoi eredi, è una monarchia ereditaria; se a lui solo per tutta la durata della sua vita, a condizione che alla sua morte il solo potere di nominare un successore ritorni alla maggioranza, allora è una monarchia elettiva. E conformemente a queste forme la comunità può creare forme di governo composte e miste, secondo quanto ritengono opportuno.

Sostiene invece Montesquieu al primo capitolo del secondo libro del De l’Esprit des Lois:

Vi sono tre specie di governi: il REPUBBLICANO, il MONARCHICO e il DISPOTICO. Per scoprirne la natura basta l’idea che ne hanno gli uomini meno istruiti. Io suppongo tre definizioni, o meglio tre situazioni di fatto: che il governo repubblicano è quello in cui tutto il popolo, o soltanto una parte del popolo, detiene il potere sovrano; il monarchico, quello in cui governa uno solo, ma per mezzo di leggi fisse e stabilite; mentre nel dispotico uno solo, senza legge e senza regola, trascina tutto con la sua volontà e i suoi capricci.

Un contributo senz'altro originale di Montesquieu all'analisi delle forme di governo fu quello di stabilire dei principi propri di ognuna:

1)         La democrazia necessita della virtù per costituirsi, e dunque si fonda sulla virtù. Se la virtù venisse a mancare, l’ambizione entrerebbe nei cuori e diffonderebbe nei consociati l’avidità e l’amore per il profitto, offuscando con interessi privati il bene pubblico.
2)         L’aristocrazia si fonda sul principio della moderazione, ossia una moderazione politica che controbilanci le altre forme statuali, prime fra tutto il popolo. In altri termini, si caratterizzerebbe da un balance of power interno e da un equilibrato juste milieu.
3)         La monarchia ha per principio l’onore che, unito alla forza delle leggi, può ispirare le più belle azioni. Tutto questo sarebbe però a scapito della virtù del cittadino.
4)         Il governo dispotico, infine, fonda il suo principio e la sua ragion d’essere sulla paura e il terrore. Quindi, in ultima analisi, un siffatto Stato si alimenterebbe attraverso le minacce e le ostentazioni delle armi.

Vico, infine, sostiene che “le spezie di governi” succedutesi nel tempo siano state tre, e cioè la forma di governo “divina”, ossia teocratica, la forma di governo “eroica”, ossia aristocratica, e quindi la forma di governo “umana”, tipica dell’età della ragione, a sua volta divisa in due sottospecie di forme governative: quella delle repubbliche democratiche e quella delle monarchie assolute.

Riferimenti bibliografici:

Aristotele, Politica e Costituzione di Atene, Torino, UTET, 2006.

C-L. de Montesquieu, Lo Spirito delle Leggi, Milano, BUR, 2007.

G. Vico, La Scienza Nuova, Milano, BUR, 2008.

J. Locke, Il Secondo Trattato sul Governo, Milano, BUR, 2007.

L. Gambino, Brani di Classici del Pensiero Politico, Torino, Giappichelli, 2002.

N. Machiavelli, Il Principe, Milano, BUR, 2008.

Platone, Repubblica, Firenze, Vallecchi Editore, 1925.

Polibio, Storie, Milano, BUR, 2004.

T. Hobbes, Leviatano, Bari, Laterza, 2010.



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