Si è già detto in precedenza che lo Stato nasce per garantire agli individui quella
sicurezza che risulta essere precaria in natura. I consociati decidono di unire
le proprie forze per difendersi da pericoli esterni e, attraverso la divisione
del lavoro, di offrire dei beni e dei servizi al resto della comunità,
ricevendone in cambio degli altri. Fin qui tutto bene. Ma poi cos'altro?
E’
possibile mai che lo Stato debba costituirsi solamente per soddisfare lo scopo
della mera sopravvivenza?
Secondo
Aristotele, lo scopo dello Stato dovrebbe essere quello di migliorare, in
termini assoluti, le condizioni di vita umane. Dice infatti il grande stagirita
nella sua Politica che lo Stato sorge
per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una
buona esistenza.
Una versione manoscritta del De Civitate Dei di Sant'Agostino |
Per
S. Agostino, invece, il fine desiderabile dell’individuo sarebbe la pace, e
quindi la società politica non dovrebbe perseguire altri fini se non il
medesimo: di ricercare la pace, ossia la pace dei giusti, che è quella pace che
si sorregge sui principi cristiani della giustizia, e che concettualmente è
conseguente all'idea di “guerra giusta”, da lui stesso teorizzata.
Al
contrario, Spinoza sostenne che il fine dello Stato dovesse essere la libertà,
intendendo con ciò dire che lo Stato doveva essere costituito per offrire agli
esseri umani un’esistenza felice, razionale e aperta, nell'ottica di una
società tollerante, non oppressiva, cosmopolita e rispettosa dei diritti
naturali di ogni persona. Dice infatti Spinoza:
Il
fine dello Stato, dico, non è quello di trasformare gli uomini da esseri dotati
di ragione in bestie o automi, ma al contrario di far sì che il loro corpo e la
loro mente possano compiere con sicurezza le loro funzioni, ed essi possano
servirsi della libera ragione, e non lottino l’uno contro l’altro con odio, ira
o inganno, né si lascino trasportare da passioni inique. In verità, dunque, il
fine dello Stato è la libertà.
Per
quanto riguarda Hobbes, la sua visione circa lo scopo dello Stato è una visione
essenzialmente utilitaristica, poiché il suo obiettivo sarebbe unicamente
quello di salvaguardare in perpetuo gli uomini dai nemici e dal bisogno.
Né
Rousseau trae conclusioni molto dissimili, quando parla dello scopo del
contratto sociale: esso, dovrebbe semplicemente consentire la conservazione
degli uomini.
Già
da quanto finora riportato risulta con sufficiente chiarezza che lo Stato
avrebbe prevalentemente l’unico scopo di garantire un’esistenza quanto più
desiderabile per gli individui. Affermando infatti che esso serva a tutelare
una “buona esistenza”, “la pace”, “la libertà”, “la salvaguardia” o la
“conservazione” equivale pressappoco a dire la stessa cosa.
Più
interessante, invece, risulta l’analisi delle condizioni che possono
determinare la dissoluzione della società civile. Generalmente parlando, lo
Stato si può dissolvere per le stesse ragioni per cui può costituirsi. Se
infatti, come visto, esso viene a generarsi o attraverso il conflitto o
attraverso il contratto, anche la dissoluzione avverrà o per cause violente o
per cagioni di natura consensuale.
Nel
primo caso, si contemplano, almeno teoricamente, due possibilità parimenti
studiate dalla sociologia politica e dal diritto internazionale:
Causa
di dissoluzione esterna = Comprende tutti i casi in cui lo
Stato si dissolve a causa di un’aggressione esterna di natura
politico-militare. In questo caso lo Stato può venire o completamente assorbito
dallo Stato invasore (caso dell’annessione) oppure può continuare a
sopravvivere con un mutato governo e denominazione. Una variante non violenta
dell’annessione, che quindi non dovrebbe comparire in questo punto, si può
avere nel caso in cui uno Stato decida volontariamente di divenire parte di un
altro, proponendo dunque di sciogliersi (caso dell’incorporazione: è il caso della Germania Est, che decise di incorporarsi alla Germania
Ovest nel 1990) . Non è affatto detto, tuttavia, che in seguito ad una sconfitta militare lo
Stato debba per forza sciogliersi; esso infatti potrà continuare senz'altro a
sopravvivere nel caso in cui, in seguito ad un trattato di pace, l’aggressione
militare avrà comportato solamente la perdita di alcuni territori o,
alternativamente, la statuizione di clausole di natura non territoriale quali
la smilitarizzazione, il pagamento di danni di guerra, la cessione di alcuni
diritti, la stipulazione di accordi commerciali, il mutamento di governo, e
così via (tanto
più che ormai la Carta delle Nazioni Unite tutela l’integrità territoriale
degli Stati e condanna qualunque aggressione militare non giustificata dai fini
stessi che la Carta si propone).
Causa
di dissoluzione interna = Comprende, invece, tutti i casi in
cui uno Stato si dissolve a causa di fenomeni politici interni quali le
rivoluzioni, le lotte d’indipendenza, le guerre civili, le insurrezioni, ecc.
Tra le varie possibilità vi può essere quella che una o più regioni di uno
Stato decidano di rendersi indipendenti, dando vita sul loro territorio ad un
nuovo Stato sovrano (caso della secessione: il noto esempio è quello degli Stati confederati meridionali che
decisero di secedere dagli Stati Uniti d’America nel 1861), o quella
in cui più regioni o nazioni all'interno di uno Stato decidano di rendersi
indipendenti, conducendolo alla dissoluzione (caso dello smembramento: è il caso della Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, sebbene c’è chi
ritenga che la Serbia sarebbe stata la diretta continuatrice dello Stato
jugoslavo. Non parrebbero esservi dubbi, invece, che un esempio di smembramento
sia costituito dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991):
la differenza tra il primo e il secondo caso è che con la secessione lo Stato
ad essa antecedente continua ad esistere, mentre con lo smembramento esso
scompare. Vi possono essere poi i casi in cui una rivoluzione o una lotta per
l’indipendenza rovescino il governo costituito, dando vita ad uno Stato
sorretto da un nuovo governo rivoluzionario: se tale governo si sorregge su
principi politici del tutto incompatibili con quelli del governo predecessore,
è probabile allora che il precedente Stato possa considerarsi estinto,
specialmente nel caso in cui il governo rivoluzionario decida di mutarne il
nome e le istituzioni politiche: è il caso dell’Impero russo in seguito alla rivoluzione bolscevica
dell’ottobre del 1917 e della successiva nascita dell’Unione Sovietica nel 1922.
Altri casi si sono avuti con la lotta d’indipendenza dalla dominazione
coloniale, che comportarono spesso il mutamento del nome dello Stato.
Riguardo invece alla dissoluzione consensuale, è
illuminante riportare quanto affermato da Rousseau nel Contratto Sociale. Egli sostiene infatti di
non esservi nello Stato nessuna legge fondamentale che
non possa venir revocata, neppure il patto sociale. Infatti, se tutti i
cittadini si riunissero per rompere questo patto di comune accordo, non c’è
dubbio che verrebbe rotto in forma legittima.
E’ quindi abbastanza chiaro che nell'ottica di
Rousseau la volontà generale della nazione potrebbe, se esprimesse parere
positivo in questo senso, sciogliere la società civile e restaurare il
preesistente stato di natura.
Tra l’altro, parrebbe che in linea di massima anche
Hobbes non si opporrebbe a quest’idea, anche se da un ritorno allo stato di
natura, secondo il suo pensiero politico, l’uomo ci avrebbe tutto da perdere. E
ciononostante il filosofo inglese si sofferma pure su argomenti di natura più
tecnica (alcuni dei quali possono apparirci oggi quasi umoristici) tesi a
mostrare quali elementi comporterebbero l’indebolimento e la dissoluzione dello
Stato - argomenti che sono poi alla base dell’ “assolutismo” hobbesiano - :
1) La mancanza di potere assoluto, 2) il giudizio
privato del bene e del male, 3) gli errori di coscienza e la pretesa di
ispirazioni soprannaturali, 4) la subordinazione del potere sovrano alle leggi
civili, 5) l’attribuzione ai sudditi di un diritto di proprietà assoluta, 6) la
divisione del potere sovrano, 7) l’imitazione delle nazioni vicine e dei
modelli politici “libertari” dell’antichità classica, 8) la supremazia
dell’autorità spirituale su quella politica, 9) il governo misto, 10) le
ristrettezze finanziarie dell’erario, 11) i monopoli commerciali, 12) gli
uomini popolari e ambiziosi, 13) l’eccessiva estensione territoriale dello
Stato, 14) la libertà di contestare il potere sovrano, 15) la volontà
insaziabile di estendere il proprio dominio politico, 16) la conquista di
nazioni non integrate, 17) la letargia nel benessere, 18) le spese inutili, 19)
la sconfitta in guerra con conseguente deposizione e/o abdicazione del sovrano.
In conclusione, possiamo affermare che,
indipendentemente da quali siano i metodi utilizzati per la dissoluzione, le
possibilità per gli esseri umani risultano in quella circostanza due sole: o
tornare allo stato di natura o sottostare al dominio e alla potestà di un nuovo
Stato.
Allegoria della distruzione del Leviatano |
Riferimenti bibliografici:
Aristotele, Politica e
Costituzione di Atene, Torino, UTET, 2006.
Sant'Agostino, La Città di Dio, Milano, Mondadori, 2011.
L. Gambino, Brani di Classici del
Pensiero Politico, Torino, Giappichelli, 2002.
T. Hobbes, Leviatano, Bari,
Laterza, 2010.
J. J. Rousseau, Il Contratto
Sociale, Bari, Laterza, 2006.
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