sabato 14 marzo 2015

Götterdämmerung. I vani tentativi di frenare il revisionismo nazista tra le due guerre mondiali



In seguito alla sconfitta nella Prima guerra mondiale, alla conferenza di pace, la Germania era stata costretta a pagare un conto salato. Il Trattato di Versailles da un lato la ridimensionò territorialmente, facendole perdere i possedimenti dell’Alsazia e della Lorena a vantaggio della Francia, e quelli di Prussia occidentale, Posnania ed Alta Slesia a vantaggio della rinata Polonia; dall’altro, considerandola responsabile dello scoppio del conflitto, le impose la corresponsione di una cifra da definire a titolo di riparazioni di guerra, l’occupazione del territorio renano a garanzia del versamento della stessa e la riduzione sostanziale delle sue forze armate. Le disposizioni del trattato di pace, considerate sotto molti punti di vista inique da una vasta parte dell’opinione pubblica tedesca, alimentarono un acceso spirito di revanscismo, soprattutto negli ambienti politici di orientamento maggiormente nazionalista e conservatore.
Le perdite territoriali tedesche sancite dal Trattato di Versailles
Alla Conferenza di Locarno del 1925 le potenze europee erano riuscite a stabilizzare e regolamentare i confini tedesco-occidentali. In quell’occasione, dei sette accordi conclusi, uno era l’accordo franco-tedesco, che stabiliva il mutuo rispetto delle frontiere franco-tedesche e belga-tedesche e che prevedeva il ruolo di Italia e Gran Bretagna quali potenze garanti, che sarebbero intervenute nel caso in cui la Germania, violando l’accordo, fosse penetrata nella zona smilitarizzata della Renania; un altro era il trattato di alleanza difensiva franco-polacco; un altro ancora il trattato di alleanza franco-cecoslovacco. Quantunque silenziose circa le specifiche disposizioni riguardanti i confini tedesco-orientali, le clausole degli Accordi di Locarno pareva avessero impedito sul nascere qualunque tentativo di revisionismo territoriale della Germania.  
Nella seconda metà degli anni ’20, la Germania tentò di ravvicinarsi all’Unione Sovietica, concludendo in tal senso, nel 1926, il Trattato di Berlino, un accordo di amicizia e neutralità che prevedeva che qualora una parte firmataria fosse stata oggetto di un’aggressione da parte di una terza parte, l’altra parte firmataria avrebbe mantenuto la neutralità, e che i firmatari si impegnavano a non aderire ad una coalizione che fosse contraria agli interessi dell’altro contraente. In questo periodo, inoltre, la maggioranza delle forze politiche austriache era favorevole all’Anschluß, ossia all’annessione con la Germania. Tale aspirazione sembrò trovare una prima tappa di realizzazione nel cosiddetto progetto Curtius-Schober del 1930, ad ogni modo non realizzato, che prevedeva un tentativo di assimilazione dell’Austria alla Germania mediante misure di natura commerciale e doganale. Il progetto Curtius-Schober già palesò come le opinioni pubbliche dei due paesi germanofoni, entrambi penalizzati dai trattati di pace del primo conflitto mondiale e pertanto revisionisti, fossero inclini alla reciproca fusione.
Adolf Hitler
Il revisionismo territoriale tedesco, la minaccia rappresentata dal consolidamento del bolscevismo, la caduta della Borsa di Wall Street del 1929 – che andava a peggiorare le già precarie condizioni economiche tedesche, registrando in Germania un tasso d’inflazione e di disoccupazione elevatissimi – e infine la retorica ultranazionalista, razzista e antisemita, tipica e abbondantemente diffusa in tutta l’Europa della prima metà del ‘900, furono fattori determinanti per l’ascesa al potere del partito nazionalsocialista di Adolf Hitler. Il programma politico del partito nazista (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei, NSDAP) era già stato tracciato nei suoi principi generali dallo stesso Hitler nella sua opera Mein Kampf, scritta, forse con l’aiuto di pangermanisti quali Karl Haushofer, ai tempi della prigionia scontata in seguito al fallimento del Putsch nazista di Monaco di Baviera del 1923. I suoi punti fondamentali erano: revisione delle inique condizioni che il Trattato di Versailles aveva imposto alla Germania; riunificazione alla luce del principio di nazionalità di tutti i tedeschi in un unico Stato germanico; ricerca di uno spazio vitale per il popolo tedesco nell’Est; lotta senza quartiere al bolscevismo e al giudaismo internazionale.
Alle parole corrisposero i fatti. Si potrebbe dire senza esagerare, infatti, che dal 1933, anno in cui Hitler divenne cancelliere, fino al 1939, anno di scoppio del secondo conflitto mondiale, tutta l’azione politica hitleriana fu volta, pezzo per pezzo, ad annullare le clausole del Trattato di Versailles, a vantaggio della Germania. In questo rapido processo di disintegrazione di quello che i nazisti consideravano il Diktat di Versailles, le altre potenze europee si dimostrarono nella maggior parte dei casi deboli; i tentativi di frenare il revisionismo tedesco vi furono, ma non si può parlare di azioni ben coordinate né di portata sufficiente.
Benito Mussolini
Nel 1933, dopo l’ascesa al potere dei nazisti, il primo ministro italiano Benito Mussolini tentò di concludere il celebre Patto a Quattro. Il progetto prevedeva un accordo tra Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania e il suo scopo era quello di conservare la pace in Europa. Ad esso si opposero subito tanto la Polonia che la Piccola Intesa (che comprendeva Romania, Jugoslavia e Cecoslovacchia, ossia tutti paesi anti-revisionisti e per ciò stesso contrari ad un riavvicinamento delle altre potenze europee alla Germania).  E proprio a causa dell'opposizione dei paesi della Piccola Intesa e alle resistenze della Francia, il Patto a Quattro non venne mai ratificato né attuato. Laconicamente Mussolini riassunse la situazione con una celebre, lungimirante frase: “In assenza di un accordo, parlerà Sua Maestà il cannone”. Inoltre, la scarsa volontà tedesca di collaborare con le altre potenze per addivenire a risultati comuni si palesò chiaramente alla Conferenza del disarmo – che, iniziata nel 1932, si protrasse fino al 1935 – che la Germania decise di abbandonare, fuoriuscendo poco dopo anche dalla Società delle Nazioni. Nel 1934 la Germania tentò di ridurre l’influenza francese in Polonia, rassicurando quest’ultima con un patto di non aggressione valido per dieci anni. Sempre accesa, poi, restava in questo periodo la questione austriaca. Nel 1933, Mussolini, preoccupato dall’idea di un potenziale Anschluß austro-tedesco, propose un progetto di creazione di una coalizione di Stati danubiano-balcanici volta a tutelare l’indipendenza austriaca. La coalizione doveva ricomprendere paesi revisionisti quali la Croazia (il che, si noti, implicava lo smembramento della Jugoslavia), l’Ungheria e l’Austria e doveva restare sotto influenza italiana. Con l’Austria all’interno della coalizione, risultava impossibile, per la Germania, la sua annessione. Nel 1934 Hitler e Mussolini si incontrarono per la prima volta a Venezia per discutere diverse questioni. L’incontro mostrò sin da subito la natura poco amichevole, in quel tempo, dei rapporti tra le due potenze: vi erano notevoli punti d’attrito, infatti, su varie questioni, e soprattutto sull’Austria e sul Sudtirolo. Fu proprio nel 1934, poi, che in Austria il partito nazista locale tentò di attuare un colpo di Stato, eliminando fisicamente il cancelliere Dollfuss per poterne collocare uno favorevole all’Anschluß: con l’ascesa al governo del cancelliere Schuschnigg, anch’egli moderato e cattolico, il Putsch fallì. Nonostante lo smacco subito dai nazisti in Austria, però, nel 1935 la Germania poté contare su un indiscusso successo: quell’anno si tenne infatti un plebiscito nella Saar – regione separata dalla Germania dalla fine della prima guerra mondiale – che con maggioranza schiacciante la ricondusse nel Reich.
Le rivendicazioni tedesche in virtù
del principio di nazionalità
Dal 1934 la Germania aveva promosso un massiccio piano di riarmo, creando un’aviazione militare (Luftwaffe) e reintroducendo la coscrizione obbligatoria. Il rafforzamento tedesco impauriva sempre di più tanto l’Italia quanto la Francia. Entrambe concordavano nella necessità di evitare ad ogni costo l’Anschluß. Fu così che nel 1935 Mussolini stipulò con la Francia gli Accordi di Roma. Oltre alla cessione francese all’Italia di alcuni territori nelle frontiere coloniali, essi prevedevano che Italia e Francia si impegnassero ad aiutarsi reciprocamente per garantire l’integrità e l’indipendenza dell’Austria. Questi accordi rappresentavano un profondo riavvicinamento tra Italia e Francia, legate da un comune obiettivo. La tappa successiva fu la realizzazione, attraverso la nascita del cosiddetto Fronte di Stresa, della Dichiarazione di Stresa, ossia una dichiarazione comune italo-franco-britannica volta a condannare congiuntamente il riarmo tedesco. Con essa, le tre potenze riaffermarono la propria fedeltà ai Patti di Locarno, garantirono l’integrità austriaca e protestarono contro il metodo hitleriano di denuncia unilaterale dei trattati internazionali. Inoltre, la Francia tentò di ostacolare il rafforzamento tedesco tentando un avvicinamento anche con l’Unione Sovietica di Stalin. Invero, per affrontare il pericolo crescente rappresentato dalla Germania nazista, il primo ministro francese Barthou aveva elaborato un piano che tentò di realizzare nel corso della primavera e dell'estate del 1934. La sua intenzione era quella di negoziare un vero e proprio Patto dell'Est. L'isolazionismo britannico faceva sì che solo due grandi potenze fossero in grado di aiutare la Francia in funzione anti-germanica: l'Italia e l'URSS. Barthou aveva però più fiducia nell’ Armata Rossa e il Patto dell'Est rappresentava per lui una garanzia indispensabile. Il progetto che propose ai sovietici era il seguente: si trattava di stipulare tre trattati, di cui uno era una garanzia reciproca fra vicini che prevedeva un aiuto militare immediato incasso di aggressione (Germania, URSS, Finlandia, Estonia, Lettonia, Polonia, Cecoslovacchia); il trattato B era invece un trattato di assistenza franco-sovietico ottenuto tramite la decisione dell'URSS al Trattato di Locarno e l'adesione francese al Patto orientale; il terzo documento era una dichiarazione secondo la quale il primo ed il secondo trattato non erano in contraddizione con la Società delle Nazioni e sarebbero entrati in vigore quando l'URSS vi fosse stata ammessa (l’URSS sarebbe entrata nella SDN proprio nel 1934, per esserne espulsa nel 1939 in seguito all’occupazione di Estonia, Lettonia e Lituania e all’invasione della Finlandia). Tuttavia progetto fallì di fronte al rifiuto della Polonia e della Germania. Sennonché, di questo documento restava però l'essenziale: la possibilità di una vera e propria alleanza franco sovietica. Nel 1935, infatti, la conclusione del Patto di Parigi stabilì la nascita della vera e propria alleanza franco-sovietica: si affermava che in caso di aggressione contro la Francia o l’URSS da parte di paesi terzi, i due paesi contraenti si sarebbero consultati. L'obiettivo del patto, che non specificava l'identità dell'aggressore, era essenzialmente quello di garantirsi contro un attacco da parte della Germania nazista. In particolare, il patto prevedeva che:

- in caso di minaccia di aggressione contro l'URSS o la Francia, i due paesi firmatari si sarebbero consultati per riaffermare il valore dell'art. 10 del Patto della Società delle Nazioni, facilitando così l'azione del Consiglio della Società stessa;

- se il Consiglio avesse deciso delle sanzioni contro un paese europeo colpevole di aggressione contro una delle due Parti, l'altra le avrebbe fornito tutto il suo aiuto;

- se una di esse fosse stata attaccata senza provocazione da uno Stato europeo e se il Consiglio della Società delle Nazioni non fosse riuscito a prendere una decisione, l'altra potenza le avrebbe prestato "immediatamente aiuto ed assistenza".

Un protocollo speciale, infine, garantiva che il patto non sarebbe stato applicato se l'aggressione fosse provenuta dalla Germania e fosse stata riconosciuta tale da Gran Bretagna ed Italia, che erano le garanti del Patto di Locarno. Ad esso seguì un simile accordo stipulato tra Unione Sovietica e Cecoslovacchia. Tuttavia, un protocollo annesso all'accordo subordinava l'applicazione delle misure di mutua assistenza previste in caso di aggressione all'aiuto prestato dalla Francia al paese attaccato. In tal modo, se la Germania avesse attaccato la Cecoslovacchia, la Francia avrebbe avuto nei confronti di quest'ultima una doppia responsabilità, dal momento che era legata ad essa anche dal trattato di alleanza stipulato nel 1924 e rinnovato con gli accordi di Locarno: una mancata reazione francese avrebbe reso vano anche il trattato cecoslovacco-sovietico, ciò che poi si sarebbe verificato puntualmente con la dissoluzione della Cecoslovacchia nel marzo del 1938.
Nonostante il quadro politico di tensione, per tutto il periodo di permanenza al potere di Hitler, fino almeno alla crisi dei Sudeti del 1938, i governi inglese e francese ritenevano fosse opportuno evitare un conflitto bellico con la Germania, approcciandosi al nazismo con quella che sarebbe divenuta nota come politica dell’appeasement. In Gran Bretagna, la politica dell'appeasement aveva contagiato l'opinione pubblica inglese, favorevole a riconoscere il Trattato di Versailles come iniquo verso la Germania, e vedeva tra i suoi maggiori sostenitori il premier Chamberlain (eletto nel 1937) che credeva di poter ammansire Hitler, assecondandolo sulle rivendicazioni che credeva più ragionevoli. Alcune forze politiche, le più conservatrici, ritenevano poi che Hitler potesse costituire un "baluardo" ad Est contro la Russia sovietica, verso cui comunque si sarebbero principalmente dirette le ambizioni territoriali tedesche. Anche in Francia la paura della Germania era molto forte, ma ancora di più era quella di una nuova guerra, che avrebbe colpito un paese sostanzialmente in ginocchio a livello economico e lacerato politicamente al suo interno. Di conseguenza la Francia restò sulla difensiva seguendo una politica subalterna all'Inghilterra.
Tuttavia, nel 1936 la situazione si ribaltò. Per Hitler l’alleanza franco-sovietica rappresentava una chiara violazione dei Patti di Locarno, i quali prevedevano un patto di non aggressione tra Francia e Germania. Al momento della ratifica del trattato franco-sovietico, quindi, Hitler denunciò la violazione degli Accordi di Locarno e conseguentemente entrò in armi nella Renania smilitarizzata; un plebiscito legittimò la temeraria impresa hitleriana. Sempre nel 1936, poi, Germania ed Austria siglarono un accordo che, sebbene si offrisse di garantire l’indipendenza e sovranità austriaca, rappresentava in concreto un ulteriore passo in avanti verso l’Anschluß. La proclamazione, ancora nel 1936, della neutralità del Belgio ruppe la solidarietà di questo paese con Francia e Gran Bretagna. Essa rappresentò un successo tedesco poiché le alleanze che la Francia aveva stipulato con i paesi dell’Est europeo potevano considerarsi inoperanti in quanto in caso di guerra contro la Germania, la Francia non avrebbe potuto più attraversare il Belgio per venire loro in soccorso: alla Francia non restò che fortificarsi dietro alla Linea Maginot, mentre che la Germania rispondeva fortificando la Linea Sigfrido. Altro evento rivoluzionario del maggio 1936 fu la definitiva annessione italiana dell’Etiopia. La condanna del gesto da parte della Società delle Nazioni allontanò l’Italia dall’intesa con Francia e Gran Bretagna, avvicinandola di conseguenza alla Germania nazista. Già nel luglio del 1936, invero, l’avvicinamento italo-tedesco si era espresso con la costituzione del celebre “Asse Roma-Berlino”, in virtù del quale Mussolini accettava l’idea di un potenziale Anschluß austro-tedesco in cambio del riconoscimento tedesco della conquista italiana dell’Etiopia.
La Conferenza di Monaco
Grazie alle favorevoli circostanze dell’anno 1936, la Germania poté quindi iniziare a costituire davvero l’ordine internazionale nazionalsocialista. Alla Conferenza segreta di Berlino del 1937 Hitler illustrò ai suoi ministri i piani di espansione in Austria e Cecoslovacchia. Si dovette scegliere con quale paese iniziare, e la scelta cadde sul primo. Forte del consenso italiano e dell’appeasement franco-britannico, nel 1938 Hitler procedette all’annessione dell’Austria alla Germania: l’Anschluß fu pertanto compiuto. La tappa seguente furono i Sudeti, ossia i territori in Boemia occidentale abitati da una maggioranza etnica tedesca. La Cecoslovacchia poteva contare su un trattato di alleanza con Francia e Unione Sovietica, ma in caso di attacco tedesco la Francia doveva agire da sola poiché l’URSS sarebbe intervenuta solo se le sue truppe avessero potuto transitare per Polonia e Romania, permesso che naturalmente i due paesi, impauriti, non le accordarono. La Gran Bretagna accettò dal canto suo l’annessione dei Sudeti alla Germania. Per risolvere la questione, Mussolini propose che le potenze si incontrassero in una conferenza, che in effetti si tenne a Monaco (dal 29 al 30 settembre 1938). Vi parteciparono Gran Bretagna, Francia, Italia e Germania e l’accordo concluso prevedeva il via libera all’annessione tedesca dei Sudeti purché Hitler offrisse delle garanzie. Cinicamente, la Cecoslovacchia, principale paese interessato, non fu neppure interpellata. Dopo la firma del trattato di non aggressione anglo-tedesco e di uno analogo franco-tedesco, la Cecoslovacchia fu smembrata: la Germania annesse i Sudeti, la Polonia la città di Teschen, l’Ungheria la Slovacchia meridionale; di ciò che restava si costituì una Slovacchia indipendente sotto influenza tedesca ed il protettorato tedesco di Boemia e Moravia.
Firma del Patto Molotov-Ribbentrop
Nel 1939, comunque, le cose mutarono. Se a un lato l’Italia attraverso la stipulazione del Patto d’Acciaio (22 maggio 1939) – che prevedeva un’alleanza difensiva e di aggressione italo-tedesca – aveva eliminato il contenzioso con la Germania sul Sudtirolo, dall’altro le potenze occidentali compresero che la Germania hitleriana non poteva più essere approcciata attraverso una debole politica di appeasement. I trattati di alleanza anglo-polacco e franco-polacco furono quindi conclusi per garantire l’indipendenza polacca, minacciata dalle rivendicazioni tedesche su Danzica e la Pomerania. Allorché in settembre la Germania, copertasi le spalle con la stipulazione con l’URSS del Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop (23 agosto 1939), attaccò la Polonia il sistema di alleanza franco-britannico-polacco scattò e la guerra, poi divenuta mondiale, fu inevitabile: il revisionismo tedesco aveva superato il punto di non ritorno.         


Riferimenti bibliografici:

J. B. Duroselle, Storia diplomatica dal 1919 ai nostri giorni.

                        

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