Con la presente pubblicazione intendiamo trattare un argomento probabilmente meno affrontato rispetto
a molti che abbiamo considerato in precedenza. Ci
soffermeremo ancora infatti sul pensiero politico di Hobbes e di Rousseau, ma
questa volta non per rilevare le differenze, bensì per ricercarne le
similitudini.
Dalle
pagine delle principali opere dei due filosofi appaiono con chiarezza almeno
cinque analogie:
Frontespizio della prima edizione del Contratto sociale (1762) |
1)La
prima analogia è la comune visione contrattualistica che i due filosofi hanno
intorno alla nascita dello Stato. Entrambi contemplano la nascita di una
società civile che sia la conseguenza della volontà costituente dei futuri
consociati. Non viene ritenuto possibile costituire una società politica
svincolata dal consenso di coloro che la pongono in essere, poiché, come
sostenuto da Rousseau nell’ Origine della
Disuguaglianza, non si può costituire uno Stato attraverso l’uso della
forza, dal momento che la forza non può creare diritto, e il diritto non può
che fondarsi sulla decisione di una volontà libera. Anche Hobbes
accetta questo principio, in quanto la stipulazione del patto sociale
istitutivo dello Stato-Leviatano include la volontà del costituente medesimo di
autorizzare e cedere il diritto di essere governato da un uomo o un’assemblea. La differenza che intercorre tra il patto sociale di Hobbes e quello di
Rousseau, però, consiste nel fatto che nel primo caso i diritti vengono
alienati a vantaggio dello Stato, mentre nel secondo a vantaggio di tutti i
consociati, ma di ciò si è già parlato
prima.
2)Altra
analogia rilevabile è che per ambedue i filosofi non è impossibile vivere allo
stato di natura. Mentre, infatti, per Rousseau è perfino desiderabile, lo
stesso Hobbes attraverso l’elencazione delle sue celebri leggi naturali (di cui
si è già parlato) non fa altro che ammettere implicitamente l’idea che possa
cessare lo stato di guerra sin già in natura. Come da lui ribadito, e’
sufficiente a tal scopo che l’uomo naturale conservi nella sua mente la
semplice idea di non fare agli altri ciò che non vorrebbe venga fatto a se
stesso. Al contempo, entrambi i filosofi accettano anche l’idea
che si possa vivere all'interno dello Stato. Questa volta è per Hobbes che ciò
appare desiderabile; e tuttavia anche Rousseau auspica la nascita dello Stato,
sempre però che esso si sorregga su principi democratici e che, soprattutto,
dilegui la disuguaglianza politica, sociale ed economica dei cittadini.
3)Ancora,
sia Hobbes che Rousseau ammettono che per natura gli uomini, eccezion fatta per
le caratteristiche fisiche, sono tutti uguali. La disuguaglianza dipende dalle
leggi civili, dunque è un parto della società politica. Dice infatti Hobbes:
Dunque tutti gli uomini sono per natura
uguali fra loro. La disuguaglianza ora presente è stata introdotta dalla legge
civile.
E aggiunge:
La questione di quale di due uomini sia
superiore non riguardo lo stato di natura, ma lo stato civile.
Poi continua poco
dopo dicendo che, se si vuole evitare lo stato di guerra naturale, una delle
leggi naturali - l’ottava nel suo elenco - prescrive che tutti gli uomini
vengano considerati naturalmente uguali:
Dunque, se gli uomini sono per natura
uguali fra di loro, dobbiamo riconoscere la loro uguaglianza; se sono
disuguali, poiché lotterebbero fra di loro per il potere, è necessario, per conseguire la pace, che siano
considerati uguali. Di conseguenza, è in ottavo luogo un precetto della
legge naturale che ciascuno sia
considerato uguale agli altri per natura. A questa legge è contraria la
SUPERBIA.
Hobbes, pertanto,
non si allontana molto dai principi poi accolti da Rousseau circa la nascita
della disuguaglianza e di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo.
4)Una
quarta analogia concerne la volontà dello Stato. Per entrambi, la volontà dello
Stato, una volta posto in essere, deve coincidere con la volontà dei cittadini.
E’ quanto afferma Hobbes, in questo passo del De Cive:
La volontà del consiglio o dell’uomo cui
è stato attribuito il potere supremo
è la volontà dello Stato. Essa quindi comprende le volontà dei singoli
cittadini; dunque, chi detiene il potere
supremo non è tenuto alle leggi
civili (questo sarebbe obbligarsi verso se stessi), né ad alcun cittadino.
Egli aggiunge
inoltre che la volontà costitutiva dello Stato deve essere unica:
Poiché dunque il cospirare di molte volontà ad un
medesimo fine non basta alla conservazione della pace e ad una difesa stabile,
si richiede che, riguardo alle cose necessarie per la pace e la difesa, la volontà di tutti sia unica.
Ma questo non può avvenire, se ciascuno non sottomette la propria volontà alla volontà di un solo altro,
sia un uomo solo o un solo consiglio, in modo che sia considerato
come volontà di tutti e di ciascun
singolo, quello che costui avrà voluto,
riguardo alle cose necessarie alla pace comune.
Come non
ricollegare questa idea a quella rousseauiana di indivisibilità della volontà
generale? Leggendo le pagine del filosofo di Ginevra, pare quasi di risentire
l’eco di Hobbes quando scrive quanto segue:
La volontà costante di tutti i membri
dello Stato è la volontà generale; è la volontà generale che li fa cittadini e
liberi. Quando nell'assemblea del popolo si propone una legge ciò che si chiede
loro non è precisamente se approvano o no la proposta, ma se questa è, o no,
conforme alla volontà generale che è la loro volontà; ciascuno, votando, dice
il suo parere in proposito, e dal computo dei voti si ricava la dichiarazione
della volontà generale.
Frontespizio dell'Origine della disuguaglianza (1755) |
5)L'ultima
analogia qui considerata attiene alla forma di governo democratico. I due
filosofi sembrano ritenere la democrazia una forma di governo soggetta
facilmente a guerre civili e, in linea di principio, contro natura. In un primo
momento non ci si aspetterebbe certo di leggere frasi simili nelle opere di
Rousseau, eppure ecco che cosa è riportato nel Contratto sociale:
Volendo prendere
il termine nella sua rigorosa accezione, una vera democrazia non è mai esistita
e non esisterà mai. E’ contro l’ordine naturale che la maggioranza governi e la
minoranza sia governata.
E poco dopo aggiunge:
[…] nessun governo
è soggetto a guerre civili e subbugli interni più di quello democratico o
popolare, perché nessun altro tende con più forza e costanza a mutar di forma,
o richiede più vigilanza e coraggio per essere mantenuto nella forma che ha.
Per
concludere, con il citare questi cinque esempi (probabilmente solo alcuni tra i
molti) si è voluto semplicemente dimostrare che sarebbe in errore chi volesse
considerare i pensieri politici dei due autori considerati necessariamente
antitetici. Certo, Hobbes viene comunemente ritenuto un sommo teorico
dell’assolutismo e del potere dello Stato, laddove Rousseau uno dei capisaldi
dell’egualitarismo e del potere del popolo. Il primo è ancora annoverato tra i
padri spirituali del conservatorismo, il secondo del socialismo. E tuttavia non
si creda che soltanto per il giudizio che ne offrono i posteri (molto spesso
ricolmo di pregiudizi o imprecisioni) le loro idee politiche fossero poi
davvero così lontane: le analogie riscontrate tra i due dovrebbero indurci a
credere il contrario. Certo è che considerandone le analogie, nessuno deve
cadere nella trappola di nascondere o minimizzare le pur sempre grandi
differenze.
Dopo quanto esposto ci auguriamo di essere stati sufficientemente capaci di dimostrare che tanto lo stato naturale che quello civile presentano entrambi dei pregi e dei difetti. Se ciò dipenda dalla natura intrinseca dell’uomo, questo lo stabilirà a un buono filosofo o teologo. E’ certo che allo stato di natura la propria salvaguardia e sicurezza dipende esclusivamente dalle nostre forze, e che pertanto non sia desiderabile sopravvivere in una condizione in cui nulla è garantito in maniera certa, nemmeno la propria vita. Ma neppure lo Stato si rivela sempre una valida alternativa. Basti pensare alle milioni di persone che, in tutto il mondo e in ogni tempo, hanno dovuto patire all'interno di Stati sorretti da dittature ed autocrazie spietate e sanguinarie, o quanti hanno dovuto subire le gravi oppressioni e persecuzioni dei regimi totalitari e liberticidi. In confronto, l’imposizione fiscale dei moderni Stati democratici appare come una manna (entro certi limiti, si intende) se si considera che essa costituisce, in fondo, l’unico vero obbligo che ci viene chiesto di adempiere nei confronti della bandiera.
D'altronde Hobbes stesso non nasconde il fatto che l’istituzione dello Stato non
costituisce la fine dei guai degli uomini. Resta infatti, per il filosofo
inglese, un perfetto stato naturale, ossia di guerra, nei rapporti
internazionali. Come avveniva per gli uomini in natura, così similmente nel
rapporto tra Stati sarà quello più potente a sopraffare, depredare ed annullare
quello più debole.
Vi
sono poi forze superiori, quali l’iper-demografia, che nessun freno politico o
contratto sociale può contenere.
Ecco
cosa dice Hobbes a riguardo:
E, quando il
mondo fosse completamente sovraccarico di abitanti, allora l’estremo rimedio di
tutto sarebbe la guerra; che provvederebbe a ciascun uomo con la vittoria o con
la morte.
La
condizione per sopravvivere dipende come sempre dalle proprie capacità
organizzative e dalla propria potenza militare. La forza, come sempre, prevale
sul diritto: non sono forse state sempre le spade e le baionette, in fondo, a
forgiare gli imperi? Non certo i contratti sociali: semmai essi li hanno
legittimati a posteriori. Forse
allora che questo significhi che lo Stato nasca dal conflitto? Può darsi.
Sarebbe interessante concludere il nostro discorso con un interrogativo, e chi vorrà potrà rispondere. Lo stato di
guerra tra uomini può essere superato dall'uscita dallo stato di natura, ma come
si può superare lo stato di guerra tra Stati? In altre parole, come si può
giungere alla pace nel mondo?
I
teologi cristiani proposero come soluzione l’universale Respublica Christiana, Kant nel suo Zum ewigen Frieden una confederazione globale, i pensatori marxisti
l’abolizione delle classi e dello Stato, Woodrow Wilson la Lega delle Nazioni e
su questa scia i partecipanti alla Conferenza di San Francisco, nel 1945,
quello straordinario organo di deterrenza costituito dalle Nazioni Unite. Ma l'obiettivo è stato poi concretamente raggiunto?
Riferimenti bibliografici:
T. Hobbes, Leviatano, Bari,
Laterza, 2010.
T. Hobbes, De Cive, Roma,
Editori Riuniti, 2005
J. J. Rousseau, Origine della Disuguaglianza,
Milano, Feltrinelli, 2008.
J. J. Rousseau, Il Contratto
Sociale, Bari, Laterza, 2006.
"When all the world is overcharged with inhabitants, then the last remedy of all is war, which provideth for every man, by victory or death" - Thomas Hobbes |
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