lunedì 29 gennaio 2018

Carteggio Seneca-San Paolo: Appunti


Carteggio Seneca – San Paolo








·    Carteggio Seneca – San Paolo (Epistolae Senecae ad Paulum et Pauli ad Senecam): 14 lettere, alcune attribuite a Seneca e altre a San Paolo, che attesterebbro l'esistenza di un'amicizia tra Seneca e l'apostolo Paolo. Questa idea trae la propria origine soltanto a partire dal IV secolo e proprio in virtù dell'apparizione in quegli anni di un epistolario attribuito ai due. E.g. San Girolamo ne venne a conoscenza nel 392 d.C.
·         Questione: Seneca cristiano? Nel Medioevo molti dotti lo ritenevano tale a causa del carteggio.
·         Presunta vicinanza dottrinale di Seneca al Cristianesimo: cfr. Tertulliano (De anima, ‘Seneca saepe noster’ = Seneca spesso è cristiano); Lattanzio (Seneca cristiano per sapienza).
·         Problemi: 1) Carteggio è autentico? 2) Seneca si convertì al Cristianesimo?
·         Diverse posizioni:  1) Alcuni critici sono convinti dell’autentiticà del carteggio; 2) altri hanno delle riserve; 3) altri sospendono il giudizio per lontananza nel tempo storico.
·         Sant’Agostino e San Girolamo: entrambi a conoscenza del carteggio > quindi parrebbe autentico; l’amicizia sarebbe quasi sicuramente vera; la conoscenza tra i due massimamente certa.
·         Epistolario pubblicato nel IX sec. da Alcuino e dedicato a Carlo Magno. Altri autori (Freculfo di Lisieux; Onorio d’Autun; Vincenzo di Brauvais; Ottone di Zuizinga; et al.) convinti di amicizia.
·         Pietro il Venerabile e Abelardo: citano le lettere senza dedurre che Seneca fosse divenuto cristiano.
·         Il domenicano Giovanni Colonna (XIII-XIV secolo): fa di Seneca un cristiano.
·         Boccaccio: S. Paolo aveva Seneca come compagno cristiano.
·         Dal XV sec.: Con il perfezionarsi della critica filologica ed umanistica contestazione del carteggio > e.g. Lorenzo Valla, Cecilio Secondo Curione, Giusto Lipsio > stile letterario non sarebbe aureo come il solito di Seneca.
·         Erasmo da Rotterdam: afferma che carteggio è falso e accusa S. Girolamo di malafede.
·         Cardinale Roberto Bellarmino: afferma che carteggio è falso, ma i due potrebbero essersi incontrati.
·         Tra XV-XVIII sec.: carteggio ritenuto generalmente falso.
·         Dal XIX sec.: ritorna ad essere ritenuto autentico e si pensa che Seneca fosse cristiano.
·         De Maistre: sicuro che Seneca abbia ascoltato S. Paolo.
·         Sicuramente Lucio Giunio Gallione, proconsole a Corinto, fratello di Seneca, conobbe S. Paolo (assolvendolo dalle accuse per diffusione nuova dottrina cristiana) e ne avrà parlato al fratello.
·         CRITICA MODERNA: Problemi: 1) E’ vera la corrispondenza?; 2) E’ unica (i.e. scritta da un unico autore)?
·         Per Momigliano e Barlow sono più autori; per Westerburg alcune lettere sono autentiche, altre no.
·         CRITICA CONTEMPORANEA: XX sec.: si riapre il dibattito. Punto di riferimento: Atti del convegno su Seneca e i Cristiani (Univ. La Cattolica, Milano, 1999) > Alcuni relatori: è un apocrifo del Nuovo Testamento; altri: è autentico: 1) ad Ostia iscrizione funeraria > alcuni parenti di Seneca (Annei) sono cristiani; 2) il carteggio è valido, ma due lettere sono tardive e forse apocrife.
·         Anche se Seneca era pagano, possedeva molto intuito cristiano (parla di déi).
·         Comunque lettere non parlano di teologia.
·         Erano originariamente scritte in latino o in greco? Per Pascal in greco. Ma non esisterebbero codici, versioni o traduzioni in lingua greca.
·         Socci: Paolo di Tarso e Seneca amici; epistolario non apocrifo ma autentico (tranne ultime 2 lettere).
·         Sicuramente affinità d’animo tra i due: amavano virtù e perfezione morale.
·         Entrambi uccisi da Nerone: chi da cristiano, chi da stoico.         
·         Ad oggi, corrispondenza è presente in oltre 400 manoscritti in latino (spesso dei sec. XIV-XV).
·         Certo che Seneca conobbe idee morali e dottrina cristiana di S. Paolo, e S. Paolo riconosce agli stoici coerenza morale e correttezza etica.
·        
·         LE LETTERE: Osservazioni:

1)      I LETTERA: S. Paolo chiama Seneca ‘fratello’ (frater).

2)      III LETTERA: Seneca vorrebbe far leggere gli scritti di S. Paolo all’imperatore Nerone.

3)      V LETTERA: Seneca afferma che S. Paolo ha fatto bene a separarsi dall’antica religione (pagana o ebraica) e ad abbracciare la cristiana, avendolo fatto non per leggerezza ma a ragion veduta.

4)      VII LETTERA: Seneca afferma di aver letto le lettere di S. Paolo ai Galati, Corinzi e Achei, e sostiene che tali lettere onorino la divintà (‘ut etiam cum honore divino eas exhibes’); afferma che lo Spirito Santo è in Paolo, espirmendo attraverso la bocca concetti tanto sublimi (‘Spiritus enim sanctus in te et super excelsos sublimi ore satis venerabiles sensus exprimit’); afferma che l’impratore si è commosso ad udire le parole di Paolo > Parole di Nerone: ‘E’ stupefacente che una persona priva di regolare istruzione possa esprimere tali pensieri!’ (‘mirari eum posse ut qui non legitime imbutus sit taliter sentiat’), al che Seneca rispose a Nerone che gli dèi parlano per voce di gente semplice.

5)      VIII LETTERA: Paolo rimprovera Seneca per aver parlato a Nerone e a Poppea della dottrina cristiana, esortandolo a non farlo più. L’amicizia tra i due poteva uscirne compromessa: forse teme per sè e per i confratelli cristiani.

6)      IX LETTERA (per alcuni XIV): Seneca si rattrista per le persecuzioni contro i cristiani dopo l’incendio di Roma (64 d.C.). Afferma che ogni male di Roma è attribuito o agli ebrei o ai cristiani, con conseguenti persecuzioni. Afferma di dover sopportare serenamente le avversità e le persecuzioni, finché la beautitudine eterna non ponga fine ai nostri mali (pensiero molto cristiano, ma anche stoico): ‘Sed feramus aequo animo et utamur foro quod sors concessit, donec invicta felicitas finem malis imponat’).

7)      XIII LETTERA: Di nuovo Seneca afferma che Paolo parla per grazia ed ispirazione divina.

8)      XIV LETTERA: Tra le più belle. Qui Paolo crede che il pensiero di Seneca sia stato illuminato da Dio. Gli chiede di tralasciare il paganesimo e di farsi testimone di Gesù Cristo – di cui, secondo Paolo, Seneca ha compreso la dottrina – e di esserne portavoce presso l’imperatore e la corte. (Se Seneca fosse riuscito a convertire Nerone, l’Impero romano sarebbe diventato cristiano quasi 300 anni prima, i.e. prima del 313 d.C. con Editto di Milano di Costantino > libertà religiosa per cristiani e del 380 d.C. con Editto di Tessalonica di Teodosio > Cristianesimo diventa religione di Stato).   


REFERENZE BIBLIOGRAFICHE: V. N. Pasqua, Lo Stoicismo e il pensiero cristiano, Chieti: Solfanelli, 2016. 

mercoledì 29 novembre 2017

The Post-Western World and the building of a parallel international order





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In his book Post-Western World. How Emerging Powers are Remaking Global Order, Oliver Stuenkel introduces some innovative arguments regarding the future of world politics from a quite uncommon perspective for Western mainstream analyses. The chief thesis of the research claims that the understanding of the creation of today’s international order is limited, since it depicts a post-Western world from a closed-minded Western-centric standpoint. In this context, non-Western actors are barely perceived as constructive rule-makers and institution-builders, because the West is widely conceived as the sole actor entitled to enhance the norms by which the international system is disciplined. However, Stuenkel suggests that the study of the future’s world order needs to undertake the inevitability of a bipolarization between the United States and China or even of a multipolarization due to the emerging of the BRICS countries. The end of the unipolar world – which represents a historical fact – implies a more overarching international analysis that overcomes the traditional Western-centric perspective and a more balanced reading of the distribution of global power. The chief aim of Stuenkel’s work is to show on one hand that most observers – both Western and anti-Western – tend to exaggerate the role the West has played in the past and, on the other, to discuss on how to adapt to a multipolar world order.   
The book is organized in six chapters. The first chapter considers the origins of Western-centrism from a historical outlook. Specifically, it describes the nature of global order prior to the rise of the West, claiming that an international order was already in place before; it analyzes how Europe began to advance and rapidly overcome other actors starting from the 16th century, ultimately dominating the world four centuries later; and it evaluates how Europeans – and Westerners in general – believe that Westernization and modernization are synonyms.
The second chapter deals with the rise of the rest and with the likely end of the unipolar system. The principal statement here is that in the coming decades the world will face a condition of “asymmetric bipolarity” in which the United States will keep their leading position in terms of military power, whereas China will embody the world’s first economy. Nevertheless, the author questions whether this kind of bipolar system will be peaceful, durable and stable, but he also rejects the idea – often shared in the West – that the imminent post-unipolar world will be necessarily chaotic and instable. The third chapter examines soft power. After highlighting that soft power uses attraction and persuasion rather than force and coercion in foreign policy, and that its allure relies on a country’s culture, political ideals and policies, the author states that emerging powers are seeking to transform hard power into soft power by implementing three key areas: cultural diplomacy, international legitimacy/agenda-setting capacity, and attraction of each society.
The fourth and fifth chapters illustrate the main international initiatives and institutions proposed by non-Western countries – particularly China – aimed at crafting a parallel global order. These institutions and international regimes are divided into several sectors: finance, trade and investment, security, diplomacy, and infrastructure. The finance sector includes the analysis of the Asian Infrastructure Investment Bank (AIIB), the BRICS-led New Development Bank (NDB), the BRICS Contingency Reserve Agreement (CRA), the global infrastructure to internationalize the yuan, China International payment system (CIPS), China Union Pay, the Shanghai Global Financial Center (GFC), the Universal Credit Rating Group, the Chiang Mai Initiative Multilateral (CMIM), the ASEAN+3, and the ASEAN+3 Macroeconomic Research Office (AMRO). The trade and investment sector analyzes the Regional Comprehensive Economic Partnership (RCEP) and the Free Trade Area of the Asia Pacific (FTAAP). The security sector deals with the Conference on Interaction and Confidence Building Measures in Asia (CICA), the Shanghai Cooperation Organization (SCO), and the BRICS national security advisors (NSA) meeting. The diplomacy sector includes the BRICS Leaders Summits, the BRICS and IBSA working groups, and the Boao Forum for Asia (BFA). Finally, the infrastructure sector introduces the projects of the Silk Road Fund/One Road-One Belt (OBOR), the Nicaragua Canal, and the Trans-Amazonian Railway.
Finally, the sixth chapter draws some conclusions on the coming post-Western world. A key thesis by the author is that non-Western actors do not seek to undermine Western institutions and create a new world order, but rather they wish to forge parallel institutions that emulate Western leadership. Moreover, emerging powers do not question the foundations of Western liberal order, and agree with issues such as international institutions, cooperative security, democratic community, collective problem solving, shared sovereignty, and the rule of law: in fact, all these elements are necessary for rising powers to develop economically.            
The key arguments of the book are the following. First, a Western-centric worldview leads to underestimate the role of non-Western actors have played in the past and play in contemporary international politics, but also the constructive role they are likely to play in the future. The book argues that a post-Western order will not necessarily be more violent than today’s global order.
Second, the economic rise of the rest, specifically China, will allow it to enhance its military capacity and it will inevitably entail an increase of its international influence and soft power – since soft power is easy to generate from a large hard power base.
Third, emerging powers are crafting a parallel international order, with several institutions and international regimes that represent an alternative to Western-led ones. The book argues that, rather than directly confronting existing institutions, rising powers – primarily China – are quietly building a parallel global order that will initially complement today’s international institutions.
Finally, the creation of new parallel institutions is the main strategy that non-Western actors use to better project their power. This alternative order is already in the making, but its structures do not emerge because China and others bear new ideas on how to address global challenges, but rather they create them to project their power, emulating what the West has already done before. The book claims that, as part of a heading strategy, China-led emerging powers will continue to invest in existing institutions and embrace most elements of today’s “liberal hierarchical order”, but they will seek to obtain the “hegemonic principles” so far only enjoyed by the United States. The creation of several China-centric institutions will allow China to embrace its own type of competitive multilateralism, picking and choosing among flexible frameworks, in accordance with its national interests, thus slowly institutionalizing its own exceptionalism and enhancing its policies autonomously by becoming increasingly immune to Western threats of exclusion.
In conclusion, Oliver Stuenkel depicts an interesting future scenario by using lenses that see beyond Western-centric rhetoric, giving for granted the rise of a post-unipolar – and thus post-Western – global order. Being a Brazilian scholar – therefore a citizen of one of the BRICS –, the author points out a very detailed analysis of the main issues that emerging powers will have to deal with, which are often miscalculated in Western academic and intellectual environments. Overall, his book is a valuable and appreciable tool to understand the perception that the non-Western world has of itself and of the West, and, mostly, a useful guide for the West to not overestimate itself and underestimate the rest.     


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References:

O. Stuenkel, Post-Western World. How Emerging Powers are Remaking Global Order, Cambridge: Polity Press, 2016. 

giovedì 1 giugno 2017

The subjectivist individualism of modernist men


The French Revolution of 1789 brought into existence the new revolutionary world and laid the grounds for the advent of liberal modernism, which finds today in Western democracies – specifically in the United States – its clear manifestation. The French Revolution, which followed the American revolution of 1776, built a new European society based on different foundations. Instead of being founded on the medieval traditional institutions of Church and monarchy, Europe was now going to be founded on democracy; instead of being founded on God it was now going to be founded on man. The French Revolution did its best to pull down the throne and the altar. Before the Revolution, during the Middle Ages and the early modern age, Church and state were closely united. After the Revolution, the modern man, i.e. the revolutionary man, turned away from the traditional institutions and began worshipping the principles of the Enlightenment: he now believed in rationalism, humanism, liberty, equality, and fraternity.
Following the philosophical principles of liberalism, modern men replaced objective reality with subjectivism. This process led to individualism and to the destruction of social bonds and collective identity. The root of the modernist problem is the singular man replacing individually the collective traditional reality of the pre-modern world based on the communion between religion and monarchy. The modernist mind does not conceive tradition and is led by a sort of mania to reform and to change. What typically distinguishes the mind of a modernist is skepticism: modernists do not attack just one truth, but all truths, and thus their problem is not that they do not believe anything, but that they believe everything. In other words, the modernist mind is relativistic in the sense that every subjective reality can bear a portion of objective truth. Skepticism and relativism lead modern minds to believe that objective truth begins to change from one moment to another and from one person to another because truth and belief are subjective and cannot be real per se.
The modernist mind, which has been thoroughly influenced over the last two centuries by European philosophy – specifically by thinkers like Descartes and Kant –, follows, often unconsciously, a philosophical system that undermines all truths. In particular, Immanuel Kant has influenced in a decisive way the liberal modernist way of thinking. Kant changed the relationship between the mind and reality, putting into effect the so-called “Copernican Revolution” in philosophy. In astronomical geography, the Copernican Revolution introduced by Copernicus, in questioning whether the Sun moves around the Earth or vice versa, had stated that the Earth revolves around the Sun, thus undermining the previous Ptolemaic geocentric model. Kant followed Copernicus’s model to investigate whether reality turns around the human mind or whether the mind turns around reality. In other words, Kant asked which goes around which: is it reality or is it the singular human mind? Does the object tell objectively what it is or is it men telling subjectively what the object is according to their own opinion? Does the object turn around men’s mind so that they can affirm it is whatever they want it to be, or is it men’s mind that turns around the object so that, though seeing it from different perspectives, it can still affirm it is the same object? Common sense would answer that it is the human mind that turns around the object and submits to reality: reality tells to the mind what an object is, and it is not the mind to tell reality what it is. However, surprisingly, Kant affirms the opposite. For the Prussian philosopher, it is not the mind that turns around reality (objectivism), but it is reality that turns around the single mind (subjectivism). In his philosophical thought, Kant built a system to enable men’s minds to escape from reality. This system enabled men to pretend that their minds are the master of reality. Per Kant, it is the mind that makes objects what they are, so that objects are no longer what they are per se: an object is not an object per se, but men decide what it is. Furthermore, this philosophical system that affirms that men’s minds control reality is selective since it is used arbitrarily, that is when it is useful to deny a specific objective reality.[1] In other words, the principle of the mind controlling the reality is used when men refuse to adopt an objective truth, but is not applied when adapting to daily objective realities like the need for eating, sleeping, working, etc. Therefore, this system may undermine all speculative principles that men wish to reject by affirming that reality depends on one’s mind and not on objective truth.
The Kantian subjectivist system represents the theoretical foundation of modernism and liberalism. It is a system of liberty that liberates the mind from anything it wishes to be liberated from, because it unhooks minds from objective reality. Modernists believe that things are true as far as their mind assert they are so, not because they are true (or false) independently of their minds, which dominate things: subjectivity comes before objectivity and all reality is at the mercy of the modernists’ own – often diverging – ideas.
The Kantian system of liberalism adopted by modernists is based on two fundamental principles: the negative principle of phenomenalistic agnosticism and the positive principle of vital immanence.
Phenomenalistic agnosticism is the doctrine claims that phenomena are the only objects of knowledge or the only form of reality and that all things consist simply of the aggregate of their observable, sensory qualities. This principle states the lack of knowledge beyond the phenomenon. Per Kant, men can reach the appearances of an object with the senses, but their mind cannot know what is behind the senses. In other words, behind the appearances men do not know what things are, since it is the mind that fabricates what things are. Men see the appearance of things through their senses, but do not know the essence of a thing in itself, i.e. the noumenon or Ding an sich; their mind cannot know anything that goes beyond the appearance of things, i.e. the phenomenon. The mind follows the knowledge snatched by the senses, but focuses only on the appearances where the sensory knowledge stops. Therefore, if the mind is unable to know the essence of an object, it is automatically cut off from the possibility of unfolding the essence of reality. The individual uses his mind to fabricate for itself its own knowledge: it exploits the appearance of things, then works out its own system of knowledge, and transposes its own system onto the appearances giving them an identity. Kant builds reality on the basis of the appearances. The Kantian man, who is the present-day post-liberal, fabricates with his mind reality on the basis of the phenomena that its senses perceive. His knowledge originates from the inside, not from the outside. If a human being stares at a sunset, his visual sense gives him the appearance of a sunset, but his mind should make him understand that the phenomenon of the sun setting is an effect of a cause, not just a senseless and disconnected event of nature: if his mind cannot go beyond the appearance of the sunset, then it will not be able to understand the causal relation between objective reality and subjective perception of it, and it can no longer read behind the appearances.      
On the other hand, the positive principle of vital immanence is the psychological process of the human consciousness unfolding itself from within and giving its own interpretation of the world. In other words, vital immanence is what still persists inside humans once they have wiped out through phenomenalistic agnosticism the possibility of knowing objective reality beyond the senses. Since the human mind cannot know anything that goes beyond the phenomenon, the heart, i.e. the individual emotions and feelings, will replace it in grasping reality: the emotions will feed from within the mind, taking its place. Thus, the truth of the liberal, modernist man originates from within: it is immanent and subjective. So being things, each individual possesses his own subjective truth and bears his own vision of reality: his heart and needs build the Weltanschauung he prefers most. Subjectivism, which is the superimposition of the subject over the object, is the core of post-liberalism and modernism. Subjectivism makes the object depend upon the subject, instead of making the subject depend upon the object. It follows that a mind governed from the inside cannot pick reality at all and is destined to live in a world of appearances fabricated by its own.
Modernism coincides with the application of the philosophical system of subjectivism. Thanks to subjectivist individualism, liberal societies are characterized by disconnection, atomization, alienation, and lack of collective identity and common sense.     

The tomb of Immanuel Kant, Kaliningrad (Koenigsberg)






[1] For instance, atheists use the Kantian subjectivist principle to deny the objective reality of God’s creation. 

mercoledì 24 agosto 2016

"Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici". Reinhart Koselleck (Parte III)







Per Koselleck un’attenzione particolare merita la cronologia, che altro non è che la misurazione del tempo. L’esperienza temporale generalmente presenta tre caratteristiche:
Irreversibilità degli eventi.
Ripetibilità degli eventi.
Contemporaneità del non-contemporaneo («Gleichzeitigkeit der Ungleichzeitigen»), ossia ricorrenza degli eventi.
La combinazione delle menzionate tre caratteristiche consente di carpire la decadenza, accelerazione, ritardo o scoppio di un evento storico. 
La misurazione del Tempo si è concretizzata nel corso della Storia attraverso tre tappe fondamnetali:
Antichità: Senza avere un concetto di Storia in sé e per sé, i Greci e i Latini identificavano il processo temporale con gli eventi che si verificavano. Attraverso gli eventi storici era possibile pervenire ad alcune generalizzazioni e considerazioni di carattere universale. Dalla contemporaneità del non-contemporaneo gli storiografi greci e latini costruivano dei paradigmi sugli eventuali ricorsi storici.
Tradizione giudaico-cristiana: la Storia segue un corso lineare dettato dal dogma, dal messianismo, dal millenarismo, dall’escatologia. L’inizio del Tempo rappresenta un atto creativo di Dio, così come la fine del tempo è incarnata dal Giudizio Universale. Con l’avvento del Messia-Cristo inizia l’era di grazia, e dunque ha inizio la fine dei tempi.
Modernità: La Storia è studiata in sé e per sé. Una rilevanza particolare è data all’esperienza, al dato empirico, alla verificabilità e veridicità delle fonti. Si va ad applicare il metodo scientifico positivista alla Scienza storica.
Quanto è rilevante in storiografia il fattore “caso”? Secondo Koselleck, fintanto che il discorso storico ha per obiettivo la correlazione ed il determinismo del corso temporale degli eventi, il caso resta una categoria a-storica: il rapporto di causalità tra eventi storici nega di per sé l’esistenza del caso. Il caso può però descrivere quelle esperienze storiche che appaiono nuove, impreviste, inaspettate, dunque in questo senso un evento può comparire inizialmente sulla base del caso. Quando il fattore caso viene utilizzato da un punto storiografico, esso indica l’impensata condizione che un evento si verificasse in un dato modo, tempo e contesto. Il caso, o l’evenienza, venne estromesso nel XIX secolo dal contesto storiografico grazie allo Storicismo (cfr. Novalis, Herder, Vico) sia attraverso una sistematica estensione del principio di causalità sia attraverso implicazioni teleologiche, filosofiche, idealistiche ed estetiche insite nel concetto moderno di Storia.    
Koselleck nota come la storiografia presenti una dialettica fondata sulla negazione dell’altro/diverso: e.g. Elleno/Barbaro; Cristiano/Pagano; Umano/Non-umano; Superumano/Subumano (Übermensch/Untermensch). La dialettica della discriminazione si fonda su diversi paradigmi:

Paradigma della non-conoscenza: tipico dell’Antichità, il barbaro è colui che non si (ri-)conosce. Ha diversi costumi, parla una lingua sconosciuta, ha una diversa Weltanschaaung. Il barbaro si ricollega all’idea dell’inesplorato (Hic sunt leones). 

Paradigma dell’esclusivismo teologico: tipico dell’era cristiana (o musulmana), il pagano, l’infedele, l’eretico, lo scismatico, l’apostata è colui che o ignora, o devia da o combatte contro la divina Verità rivelata.

Paradigma del positivismo antropologico: tipico dell’Illuminismo, il non umano è il selvaggio, l’uomo non educato all’europea, l’abitante delle terre di recente o recentissima scoperta geografica.

Paradigma del razzismo biologico: tipico del Novecento, il subumano è colui che appartiene ad una razza inferiore, tanto sul piano fenotipico che psicologico; il superuomo è al contrario colui che possiede le migliori caratteristiche razziali, sia fisiche che spirituali.     

Lo storico tedesco si sofferma inoltre sulla relazione tra res factae e res fictae, ossia sulla questione della veridicità del fatto storiografico. Il rapporto tra fatti veri e fatti (apparentemente) falsi pone l’interrogativo circa quali fonti debbano essere scartare perché «fittizie» o non sufficientemente «vere». La provocazione dell’autore arriva a domandare al lettore quanto sia vero un sogno, e se il sogno possa contenere elementi di verità che possano addirittura incidere sulle fonti storiografiche. È noto che uno dei principali pericoli dello storico sia quello di plasmare la Storia sulla base di veli di pregiudizi morali, psicologici, politici. Il Romanticismo, ad esempio, ha colorito il resoconto storico con una vasta gamma di elementi estetico-eroici che spesso pregiudicano la verità storiografica. Di conseguenza è lecito chiedersi quanto sia attendibile un romanzo storico: è giusto immaginarsi conversazioni (probabilmente) mai avvenute in contesti storici realmente esistiti? Può la storiografia accettare le mezze verità? Innegabilmente il problema delle res factae/res fictae continua a presentare una sfida epistemologica per gli storici contemporanei. 
Infine, è interessante soffermarsi sul rapporto tra Neuzeit e Zeitgeschichte. Dal XVIII secolo la storiografia parla sempre più dell’idea di una Storia moderna (letteralmente Tempo Nuovo, ovvero Neuzeit). L’espressione si riferisce soltanto al tempo, caratterizzandolo come «nuovo», senza però offrire alcuna indicazione circa il contenuto storico del medesimo, o sulla sua natura come epoca o periodo. L’idea di suddividere la Storia nella triade Antichità-Medioevo-Modernità sembra per molti aspetti riduttivo e anacronistico. Secondo la comune opinione la Neuzeit (Storia moderna) dovrebbe approssimativamente abbracciare il periodo che va dalla scoperta dell’America (1492) alla Restaurazione (1815). Dopo di essa un nuovo concetto descrive il successivo evolvere del tempo: la Zeitgeschichte (Storia contemporanea), che abbraccerebbe il periodo che va dal 1815 ad oggi. Grazie alla percezione di una Neuzeit la Storia non è più qualcosa che avviene all’interno del Tempo, bensì lungo il Tempo. Il Tempo diviene una forza dinamica che scandisce le sorti dei popoli. Con la Neuzeit nasce la consapevolezza storica che si collega ai destini sociali, economici, strategici e geopolitici delle nazioni.


Riferimenti: Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici (Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten), 1979.
 

martedì 23 agosto 2016

"Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici". Reinhart Koselleck (Parte II)




Fino al XVIII secolo il calcolo degli eventi storici veniva effettuato in base al ciclo astronomico delle stelle e dei pianeti e dalla successione naturale delle dinastie regnanti. Attraverso Kant e l’Illuminismo la cronologia cessa di dipendere da meri fenomeni naturali ed il tempo comincia ad essere misurato in sé e per sé, nel contesto di una Filosofia della Storia e di una Filosofia della Cronologia. Gli eventi cominciano ad essere categorizzati, razionalizzati ed intrecciati tra loro attraverso uno schema logico. Comincia a comparire il determinismo storico, ossia l’applicazione dei rapporti di causa ed effetto (principio di causalità) agli eventi cronologici, che si svilupperà appieno con la storiografia marxista.      
Nel contesto della razionalizzazione delle discipline umane e del positivismo scientifico si tende dunque ad introdurre il concetto di epoche ed ere per suddividere in modo intelligibile la Storia.
Nella sua analisi storiografica, Koselleck si sofferma a lungo sul concetto di “Rivoluzione”. “Rivoluzione” nel suo significato originario indica un “ritorno”, una rotazione di movimento indietro verso un punto di partenza, dunque un movimento rotatorio, come quello di un pianeta. In termini politici essa indica la rotazione delle forme di governo (cfr. Aristotele e Polibio → πολιτειων ανακυκλωσις). Ogni Rivoluzione, terminata la sua fase di affermazione e sviluppo, è seguita da una controrivoluzione che culmina con una Restaurazione (cfr. Rivoluzione inglese, 1640-60). Koselleck si rende conto della problematica storica di come descrivere esattamente le sollevazioni, rivolte, insurrezioni, ribellioni, guerre civili: per esempio, la Guerra dei Trent’anni (1618-48) fu una guerra civile all’interno del Sacro Romano Impero o una guerra tra Stati sovrani?
Fino al 1700 il termine Rivoluzione era impiegato come metafora per insurrezioni e rivolte. Con l’Illuminismo il termine assume il significato di cambiamento radicale nei riguardi di ogni aspetto sociale. Le osservazioni che Koselleck introduce sul concetto di Rivoluzione sono varie:

- Dopo il 1789 il termine Rivoluzione è diventato un singolare collettivo, divenendo un concetto onnicomprensivo, metastorico e trascendentale. 
- La Rivoluzione è legata al fenomeno dell’accelerazione temporale: essa desidera l’abbreviazione delle tappe storiche.
- La Rivoluzione è seguita dalla Controrivoluzione
- Scopo della Rivoluzione politica è l’emancipazione sociale di tutti gli uomini, con dissoluzione del precedente paradigma socio-economico.
- La Rivoluzione ha portata universale: essa implica la Rivoluzione mondiale, senza compromessi (Cfr. Concetto di «Rivoluzione permanente» di Proudhon, Marx, Trotzkij).
- La Rivoluzione produce guerre rivoluzionarie, essa raramente è incruenta.
- Ogni Rivoluzione affronta il problema della legittimazione del governo rivoluzionario.

Nell’affrontare il tema della teoria e del metodo della determinazione storiografica del tempo Koselleck afferma la rilevanza del metodo critico e filologico. Nel definire un concetto storico è rilevante considerare il contesto dell’epoca e il significato semantico sincronico della parola. Un esempio è costituito dal concetto di Stand-Stände (gli stati d’Antico Regime) in opposizione a quello di classi, cittadini (Staatsbürger). La lotta semantica per la definizione dei concetti politico-sociali è tipica dei periodi di crisi. Dalla Rivoluzione francese in poi la lotta si è acuita: i concetti non definiscono più un dato stato di cose, ma sono strumenti per portare cambiamenti. Il nuovo ordine rivoluzionario conia neologismi concettuali e compaiono gli –ismi (Liberalismo, socialismo, comunismo, conservatorismo, ecc.).
Il percorso intellettuale di Koselleck è dominato dall’idea della “Begriffsgeschichte”, ossia la storia dei concetti.  La Begriffsgeschichte rappresenta un metodo specifico per il criticismo delle fonti, sottolineando l’uso della terminologia rilevante per l’analisi degli elementi e fenomeni socio-politici. Al contempo, la diacronia è quella metodologia che consente di ridefinire nel corso delle epoche, con le differenze intercorse, il significato passato dei concetti. Invero, la profondità di un concetto può essere apprezzata in pieno soltanto attraverso una sua analisi diacronica, e non solo sincronica. Ad esempio, un concetto che nel XVIII secolo aveva un preciso significato, può averne uno molto diverso nel XIX. Di conseguenza, ricostruendo in senso diacronico l’evoluzione storica di un concetto si perviene al suo significato completo.
Per Koselleck esistono tre gruppi di concetti socio-politici nel corso della Storia:

  1. Concetti tradizionali sempre validi (e.g. il pensiero politico classico).
  2. Concetti che sono mutati radicalmente di significato pur mantenendo lo stesso involucro semantico (democrazia; impero; oligarchia; rivoluzione; ecc.).
  3. Neologismi che emergono con ricorrenza (comunismo; fascismo; socialismo; liberalismo; ecc.).

Secondo la teoria della Begriffsgeschichte, la terminologia socio-politica nella lingua delle fonti storiografiche possiede una serie di espressioni che, sulla base dell’esegesi e della critica delle stesse, si trasformano in veri e propri concetti. Ogni concetto è associato ad una parola, ma non ogni parola è un concetto socio-politico. I concetti socio-politici tendono a rivendicare uno status di universalità e sono pertanto il concentrato di alcuni significati fondamentali. Una volta coniato, un concetto contiene in sé, in termini puramente linguistici, la possibilità di poter essere utilizzato in modo generalizzato, ricollegandogli specifici significati ed esperienza costanti. La coniazione di più concetti consente la successiva utilizzazione del metodo comparato al fine di confrontare le rispettive similitudini e divergenze.  

Riferimenti: Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici (Vergangene Zukunft. Zur Semantik geschichtlicher Zeiten), 1979. 
    


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