mercoledì 25 febbraio 2015

Il diritto positivo: il bilico tra ragione e follia





Abbiamo già visto in precedenti articoli come, almeno in teoria, la disciplina dei rapporti inter-umani allo stato naturale non siano affidati in maniera totale al caso. Esisterebbero infatti delle norme naturali tacite che gli uomini savi sarebbero capaci di intuire ed interiorizzare in maniera pressoché automatica e che consentirebbero loro di vivere insieme in condizioni ragionevoli. Le consuetudini di ogni popolazione del mondo hanno attinto, in tutte le epoche, le peculiarità delle loro disposizioni dalle norme naturali, e nella quasi totalità dei casi si sono diffuse e consolidate grazie ad una parvenza di legittimazione di origine divina che le rivestiva.  
San Tommaso d'Aquino
Sarà opportuno, ora, considerare come il superamento, reale o ipotetico, dello stato naturale abbia comportato la nascita di società civili che non necessariamente fondavano la loro legislazione su dettami naturali. Si è già visto, infatti, come alcuni giusnaturalisti - specialmente cristiani – insistessero affinché il diritto positivo, ossia il diritto statuale particolaristico, trovasse fondamento e giustificazione nelle disposizioni del diritto naturale, ossia, a loro modo di vedere, nel diritto divino. Alcuni di essi, come S. Tommaso, arrivarono perfino a considerare la liceità del tirannicidio nei confronti di un sovrano che, legiferando, avesse abbandonato il lume naturale delle norme divine.
E, tuttavia, vi sono stati storicamente degli esempi di legislazione positiva decisamente in contrasto con le leggi naturali. Valga per tutti, anche se certo non è il solo, il celebre caso (che forse rappresenta l’esempio più lampante di diritto positivo “al di là del bene e del male”) della legislazione razziale ed eugenetica posta in essere dal regime nazionalsocialista in Germania e, in parte, dal regime fascista in Italia, che porterà al triste epilogo di uno sterminio etnico.
L'approvazione delle leggi razziali nell'Italia fascista
Le stesse società contemporanee ci mostrano ancora come il diritto positivo possa essere usato per rendere incerti dei diritti inalienabili quale quello alla vita. Basti pensare alla legislazione positiva abortista e sostenitrice dell'eutanasia vigente in numerosi Stati. O ancora quella legislazione tipica dei Paesi governati da regimi di stampo marxista-populista che in passato - e in diversi casi ancora oggi ­– ha limitato il diritto di godere di beni di proprietà privata o ha ostacolato notevolmente la possibilità dei cittadini di usufruire dei benefici economici provenienti dall'economia aperta, dal libero commercio e dalla libertà d’iniziativa economica privata. O infine tipi di legislazione che nel corso della storia in più occasioni hanno legittimato la schiavitù, la tortura, la deportazione, la persecuzione, la discriminazione e l’intolleranza, e che, finalmente, il diritto internazionale umanitario ha abolito e penalizzato nel corso del secolo scorso: basti vedere a riguardo le principali decisioni prese a salvaguardia della persona umana con la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. 
Questa breve premessa ci mostra come in certi casi il diritto positivo possa trasformarsi, come molte  volte è avvenuto, in uno strumento di giustificazione di comportamenti criminali in contrasto con i principi che sorreggono l’ordine naturale delle cose. Prima di proseguire oltre, però, occorre soffermarsi sul concetto di diritto positivo. Cosa si intende, infatti, con questo termine?
Il diritto positivo è, parafrasando l’elenco delle caratteristiche che di esso ne offre Bobbio, un diritto “particolare” e “mutevole”, derivante dalla volontà del detentore della sovranità politica e contenente disposizioni non necessariamente buone o cattive in sé e per sé, ed incentrate soprattutto sull'utilità, ossia considerate come mezzi per raggiungere uno scopo desiderabile ai fini e per il bene dello Stato stesso. Esso è particolare perché ha vigore solo entro i confini statuali, ed è mutevole perché il legislatore che l’ha posto in essere può abrogarlo in ogni momento.
In ultima analisi, quindi, quando si parla di diritto positivo ci si riferisce al diritto statuale imperativo che una volontà particolaristica dotata di sovranità politica ha posto in essere, sia essa quella del Re nel caso di una monarchia assoluta, sia essa del Re e del Parlamento insieme come nel caso di una monarchia costituzionale, sia essa del Parlamento come nel caso di una repubblica parlamentare.
Da quanto scritto appare chiaro che fino a quando le leggi positive mantengono un contatto con quelle naturali e, magari, ne ricalchino l’immagine, non sorgono problemi di entità seria.
Ma quando invece le travalicano, per ciò stesso esse diventerebbero ingiuste e “perverse”, e tuttavia, essendo leggi, il loro potere cogente non potrebbe essere messo in discussione da nessuno e dovrebbero essere in ogni caso eseguite e rispettate. L’idea alla base del diritto positivo è che esso debba essere applicato indipendentemente da ciò che il giudizio dei singoli ne abbia a riguardo. Naturalmente i giuspositivisti savi comprendono subito che il diritto positivo non può essere disgiunto dalla ragione e dal buon senso, che operano spontaneamente per garantire la salvaguardia dell’uomo nel mondo. Montesquieu, ad esempio, sostiene proprio che la legge positiva debba seguire i principi della ragione umana. Dice infatti il filosofo francese:
Montesquieu

La legge, in generale, è la ragione umana, in quanto governa tutti i popoli della terra, e le leggi politiche e civili [ossia le leggi positive] di ogni nazione non devono costituire che i casi particolari ai quali si applica questa ragione umana.

Si è visto come con la diffusione del modello di Stato nazionale moderno il diritto positivo abbia sostituito in toto il diritto naturale. Molto spesso esso ha ribadito in forma chiara e cogente i principi della ragione naturale, altre volte è servito da strumento per imporre un’ideologia politica che non sempre si atteneva a quei principi. In alcune società la religione ne ha fatto da sfondo, come nel caso dei Paesi islamici in cui vigeva o vige la shari’a, ossia la legge coranica; in altri è stato utilizzato per soppiantare la religione stessa, come avvenuto in alcuni Paesi comunisti.
E’ indubbio, però, che, nonostante i suoi difetti, il diritto positivo possiede anche dei pregi. Esso, infatti, ha svolto almeno tre funzioni storiche fondamentali:

1)      Ha reso il diritto certo. Prima delle codificazioni normative, infatti, i particolarismi giuridici e le consuetudini locali offrivano un panorama caotico degli ordinamenti giuridici statuali.
2)      Ha contribuito a diffondere l’uguaglianza giuridica. Grazie ad esso, infatti, i privilegi cetuali tipici degli Ständestatt, ossia gli Stati di stati di antica matrice feudale, sono poi scomparsi. Ogni uomo all'interno dello Stato è stato trasformato in cittadino, cioè in un unico soggetto giuridico con facoltà ed oneri eguali dinnanzi alla legge.
3)      Ha gettato le basi per la diffusione del modello di Stato di diritto, ossia di una forma di Stato ben disciplinata in cui ogni aspetto giuridicamente rilevante della vita civile è regolato da norme organiche ed omogenee.

Per concludere, il diritto positivo statuale non è inaccettabile. I vantaggi che può garantire, quali la certezza giuridica, l’uguaglianza dinnanzi alla legge e l’organicità della normazione, possono offuscarne gli svantaggi. E’ però fondamentale che, come visto, il suo utilizzo non sia mai disgiunto dal corretto uso della ragione umana e che esso sia posto in essere a beneficio della giustizia sociale, del benessere economico e, per quanto possibile, del miglioramento delle condizioni di vita umane in uno Stato. Esso dovrebbe essere coerente con le prerogative inalienabili di cui ogni essere umano è dotato relative alla tutela della sua vita, della sua dignità, della sua incolumità e - perché no? – della sua felicità. In una parola, esso deve costituire lo strumento a difesa della salvaguardia della persona umana e del pianeta in cui vive. E pensiamo che quest’asserzione possa essere considerata accettabile dalla maggioranza delle persone, siano esse di orientamento cristiano, liberale o socialista.

Una disposizione normativa positiva che ordinasse a tutti i consociati alti più di un metro e ottanta di gettarsi dalla finestra più alta della loro abitazione, a mezzogiorno, vestendo in abito blu, non dovrebbe essere de facto eseguita, in quanto irrazionale ed immorale: se ancora vivesse qualcuno di savio presso quella popolazione sarebbe suo dovere di sottoporre a fermo il legislatore, farlo svernare in un efficiente istituto di igiene mentale e costringerlo, dopo la cura, ad abrogare simile disposizione.


Riferimenti bibliografici:

N. Bobbio, Il Positivismo Giuridico, Torino, Giappichelli, 1996.

C-L. de Montesquieu, Lo Spirito delle Leggi, Milano, BUR, 2007.


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