venerdì 15 maggio 2015

L’arte della guerra secondo Clausewitz. Un breve resoconto. Parte III




Secondo quanto afferma Clausewitz, è la fanteria a costituire la principale forza in battaglia, laddove cavalleria ed artiglieria, invero, svolgono un ruolo secondario e di ausilio. Inoltre, sarebbe preferibile un esercito costituito da soli fanti anziché uno misto con rappresentanti di tutte e tre le armi. In ogni caso, dovendo scegliere, è comunque meglio rinunciare alla cavalleria piuttosto che all’artiglieria in quanto quest’ultima è più idonea ad essere dispiegata con la fanteria. Nel caso in cui si voglia fare uso dell’artiglieria, la principale responsabilità di un comandante consiste nel proteggerla soprattutto dalla cavalleria. In quanto alla cavalleria, è noto che essa si divide in due grandi gruppi: la cavalleria pesante, tradizionalmente da urto, e la cavalleria leggera, utilizzata per esplorazione, avanguardia, logoramento, scaramucce, copertura di truppe in ripiegamento e, soprattutto, inseguite.
Soffermandosi sul concetto di difesa, il generale prussiano afferma che il concetto e fine ultimo della difesa stessa consiste nel respingere un attacco. Ne deriva che un’azione difensiva rappresenta un’azione che attende e contrasta un attacco. Il combattimento è difensivo quando appunto si attende l’assalto nemico; al contempo, la battaglia è di natura difensiva se, da un punto squisitamente tattico, si attende entro il raggio del proprio fuoco – ossia, entro la gittata del proprio campo di tiro – il nemico; infine, la campagna militare è difensiva quando il nemico ha invaso il proprio teatro di guerra. Ad una difesa ben riuscita segue un contrattacco, proprio come ad un’offensiva si risponde con una controffensiva. Come è noto, la difesa ha lo scopo di conservare, mentre l’attacco quello di conquistare: ne deriva che, generalmente parlando, la difesa è più facile da gestire dell’attacco. Ogni omissione dell’attaccante, poi, risulta un vantaggio del difensore. Una vittoriosa difesa rappresenta il trampolino di lancio per un successivo contrattacco efficace. Esistono sei elementi favorevoli per i difensori, tre di natura tattica e tre strategica: gli elementi tattici sono:

- Sorpresa: L’elemento sorpresa è efficace quando si dislocano in un punto determinato dello schieramento più truppe di quanto il nemico si sarebbe aspettato (è però un principio valido anche per l’attaccante).

- Vantaggio dell’ambiente: Il difensore conosce il suo Paese, dunque può ostacolare l’attaccante portandolo su terreni impervi o sfavorevoli.

- Attacco multidirezionale: Il difensore può avvalersi, conoscendo la posizione dell’invasore, di aggiramenti tattici grandi e piccoli e di manovre avvolgenti la cui efficacia si basa sull’effetto raddoppiato del fuoco e sul timore che il reparto accerchiato venga tagliato fuori dal suo esercito, dalle vie di fuga e dalle linee di rifornimento e comunicazione. La stessa simulazione di una ritirata dinnanzi alla forza attaccante può, con un movimento aggirante della ali dell’esercito, trasformarsi in una manovra accerchiante che riporta automaticamente il difensore in una situazione di vantaggio rispetto al nemico (si pensi alla celebre battaglia di Canne, 216 a.C.).


Esempio di manovra a tenaglia
attuata dai cartaginesi contro i romani
durante la battaglia di Canne, 216 a. C.


Tra gli elementi strategici invece si segnalano:

- Rafforzamento del territorio: Il difensore può rafforzare le fortezze del suo territorio, requisendo tutti i beni che si producono nelle campagne e stabilendosi al sicuro in qualche guarnigione particolarmente invulnerabile precludendo così alò nemico da un lato la possibilità di rifornirsi e vettovagliarsi e dall’altro di ingaggiare battaglia in campo aperto: al nemico non resteranno che due opzioni: assediare le fortezze e le guarnigioni (e i tempi, si sa, sono spesso lunghissimi) oppure abbandonare il Paese.  

- Appoggio della popolazione: La popolazione civile può appoggiare l’esercito impedendo l’avanzata nemica con operazioni di sabotaggio, guerriglia, distruzione dei raccolti, ecc. Quanto più il popolo è compatto tanto maggiore sarà la coesione e l’ostilità nel voler cacciare il nemico; al contrario, eventuali divisioni interne non potranno che essere un vantaggio per l’attaccante, che le sfrutterà in modo a lui più utile.

- Sfruttamento del fattore morale: All’opinione pubblica esterna una guerra d’aggressione sembrerà sempre un sopruso ed un’azione turpe, dunque il difensore avrà sempre l’appoggio, almeno morale, delle Potenze che condannano apertamente l’aggressione armata come strumento per dirimere le controversie internazionali. In altre parole, un attaccato tende sempre a passare dalla parte del giusto e l’attaccante da quella del torto secondo la comune morale umana. Per quanto riguarda poi l’opinione pubblica interna, i governanti non dovranno fare altro che additare gli invasori come un esempio di “banditi, tiranni, despoti, immorali, blasfemi, ecc.” e tanto basterà a farli credere davvero tali anche agli occhi dei più semplici popolani.

Considerando invece l’attacco, Clausewitz sottolinea come esso non possa essere condotto con continuità costante in quanto richiede intrinsecamente riposo e momenti di stasi, trasformandosi quindi improvvisamente in una forma di difesa. Attacco e difesa sono quindi due elementi costantemente presenti nell’attacco stesso: la trasformazione dell’attacco in pausa difensiva costituisce un male necessario, non desiderato, dettato da elementi di forza maggiore quali appunto l’esaurimento delle energie della truppa, il mancato sfondamento del fronte del nemico, ecc. In pratica è possibile affermare che ogni attacco finisce in una difesa. In genere, l’attacco si conclude sconfiggendo l’esercito nemico sul terreno di battaglia, e meno frequentemente in virtù della conquista di una fortificazione. Da un punto di vista energetico, cinetico e fisico è possibile considerare l’attacco come una tipologia di forza decrescente.
Per quanto riguarda la vittoria, gli elementi che la caratterizzano sono:

- Cambiamenti di legami politico-diplomatici: Una regola vuole che se uno Stato grande viene sconfitto, i suoi alleati minori e satelliti tendono ad abbandonarlo, mentre invece se ad essere sconfitto è uno Stato piccolo, gli Stati grandi o medio-grandi che vi confinano o sono legati a lui da qualche vincolo tendono a venirgli in soccorso (e ciò avviene tanto più se lo Stato piccolo costituiva una sora di cuscinetto geopolitico). Per quanta riguarda poi la genesi delle coalizioni, in generale uno Stato entra in una coalizione se da essa può trarre dei vantaggi e tornaconti, di natura territoriale o materiale, altrimenti tende naturalmente a prescegliere di coalizzarsi con il maggior offerente o di restare neutrale.

- Resistenza crescente del nemico: La resistenza del nemico, tanto fisica che psicologica, può condurre più rapidamente o più lentamente al ribaltamento delle sorti del conflitto e quindi, a valere per l’attaccante, ad auspicare che si trasformi in una propria vittoria.

- Conclusione bilaterale della pace: Dal momento che la guerra costituisce una tensione ostile di uno Stato contro un altro possiamo affermare che essa termini solo quando tale tensioni cessi. Ciò potrà avvenire solamente in virtù di un trattato di pace, che segue un armistizio, cui entrambe le parti in lotta riconoscono la volontà di trovare, mediante esso, le condizioni per poter ripristinare lo stato di pace e concludere lo stato di guerra.

Vi possono essere due grandi tipologie di vittorie:

- Vittoria parziale: Prevede nel caso dell’attacco almeno la conquista di qualche parte del territorio nemico e/o annessione, e nel caso della difesa la conservazione del proprio territorio come intatto.   

- Vittoria totale: Prevede l’abbattimento totale del nemico attraverso la distruzione del suo esercito, la conquista della Capitale (sede del Governo, dei corpi politici, dei partiti, ecc.) e un eventuale colpo risolutivo contro il suo alleato affinché decida di uscire dalla coalizione, cessare di difendere l’alleato invaso e concludere una pace separata.

In ogni caso, un territorio nemico annesso od occupato potrà sempre essere utile o per mantenerlo –soprattutto se ricco – o per scambiarlo con altri vantaggi.



Reparto di ussari prussiani "Teste di morto" o
Totenkopfhusaren, 1808 circa

Concludiamo questo breve resoconto sul testo di arte militare del grande prussiano elencando quali sono i punti che Clausewitz considerava dovesse possedere un ben organizzato piano di guerra:

- Agire concentrati sul punto focale dell’avversario.

- Agire rapidamente, senza interruzioni e deviazioni.

- Colpire il cuore, e non le ali, dell’esercito avversario.

- Cercare sempre l’annientamento della forza armata nemica e la sua dispersione.

- Se attaccati dalla forza armata nemica principale e superiore, accettare il più possibile l’attacco evitando deviazioni per non esporre i propri fianchi.

- Ottenuta la vittoria, concentrarsi solamente sull’inseguimento del nemico in ripiegamento o rotta: va ora annientato tutto ciò che può agevolare il nemico nella fuga e si deve sfruttare fino in fondo il successo della vittoria (ad esempio debellando le forze armate del nemico ancora esistenti, occupando la Capitale e la sede del Governo, liquidando le questioni con gli eserciti alleati del nemico, disarmando le piazzeforti, ecc.)


Riferimenti bibliografici:



C. von Clausewitz, Della Guerra.


                     

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