lunedì 2 marzo 2015

Il fine dello Stato e la sua dissoluzione: considerazioni filosofiche



Si è già detto in precedenza che lo Stato nasce per garantire agli individui quella sicurezza che risulta essere precaria in natura. I consociati decidono di unire le proprie forze per difendersi da pericoli esterni e, attraverso la divisione del lavoro, di offrire dei beni e dei servizi al resto della comunità, ricevendone in cambio degli altri. Fin qui tutto bene. Ma poi cos'altro?
E’ possibile mai che lo Stato debba costituirsi solamente per soddisfare lo scopo della mera sopravvivenza?
Secondo Aristotele, lo scopo dello Stato dovrebbe essere quello di migliorare, in termini assoluti, le condizioni di vita umane. Dice infatti il grande stagirita nella sua Politica che lo Stato sorge per rendere possibile la vita e sussiste per produrre le condizioni di una buona esistenza.
Una versione manoscritta del De Civitate Dei
di Sant'Agostino
Per S. Agostino, invece, il fine desiderabile dell’individuo sarebbe la pace, e quindi la società politica non dovrebbe perseguire altri fini se non il medesimo: di ricercare la pace, ossia la pace dei giusti, che è quella pace che si sorregge sui principi cristiani della giustizia, e che concettualmente è conseguente all'idea di “guerra giusta”, da lui stesso teorizzata.
Al contrario, Spinoza sostenne che il fine dello Stato dovesse essere la libertà, intendendo con ciò dire che lo Stato doveva essere costituito per offrire agli esseri umani un’esistenza felice, razionale e aperta, nell'ottica di una società tollerante, non oppressiva, cosmopolita e rispettosa dei diritti naturali di ogni persona. Dice infatti Spinoza:

Il fine dello Stato, dico, non è quello di trasformare gli uomini da esseri dotati di ragione in bestie o automi, ma al contrario di far sì che il loro corpo e la loro mente possano compiere con sicurezza le loro funzioni, ed essi possano servirsi della libera ragione, e non lottino l’uno contro l’altro con odio, ira o inganno, né si lascino trasportare da passioni inique. In verità, dunque, il fine dello Stato è la libertà.

Per quanto riguarda Hobbes, la sua visione circa lo scopo dello Stato è una visione essenzialmente utilitaristica, poiché il suo obiettivo sarebbe unicamente quello di salvaguardare in perpetuo gli uomini dai nemici e dal bisogno.
Né Rousseau trae conclusioni molto dissimili, quando parla dello scopo del contratto sociale: esso, dovrebbe semplicemente consentire la conservazione degli uomini.
Già da quanto finora riportato risulta con sufficiente chiarezza che lo Stato avrebbe prevalentemente l’unico scopo di garantire un’esistenza quanto più desiderabile per gli individui. Affermando infatti che esso serva a tutelare una “buona esistenza”, “la pace”, “la libertà”, “la salvaguardia” o la “conservazione” equivale pressappoco a dire la stessa cosa.

Più interessante, invece, risulta l’analisi delle condizioni che possono determinare la dissoluzione della società civile. Generalmente parlando, lo Stato si può dissolvere per le stesse ragioni per cui può costituirsi. Se infatti, come visto, esso viene a generarsi o attraverso il conflitto o attraverso il contratto, anche la dissoluzione avverrà o per cause violente o per cagioni di natura consensuale.
Nel primo caso, si contemplano, almeno teoricamente, due possibilità parimenti studiate dalla sociologia politica e dal diritto internazionale:

 Causa di dissoluzione esterna = Comprende tutti i casi in cui lo Stato si dissolve a causa di un’aggressione esterna di natura politico-militare. In questo caso lo Stato può venire o completamente assorbito dallo Stato invasore (caso dell’annessione) oppure può continuare a sopravvivere con un mutato governo e denominazione. Una variante non violenta dell’annessione, che quindi non dovrebbe comparire in questo punto, si può avere nel caso in cui uno Stato decida volontariamente di divenire parte di un altro, proponendo dunque di sciogliersi (caso dell’incorporazione: è il caso della Germania Est, che decise di incorporarsi alla Germania Ovest nel 1990) . Non è affatto detto, tuttavia, che in seguito ad una sconfitta militare lo Stato debba per forza sciogliersi; esso infatti potrà continuare senz'altro a sopravvivere nel caso in cui, in seguito ad un trattato di pace, l’aggressione militare avrà comportato solamente la perdita di alcuni territori o, alternativamente, la statuizione di clausole di natura non territoriale quali la smilitarizzazione, il pagamento di danni di guerra, la cessione di alcuni diritti, la stipulazione di accordi commerciali, il mutamento di governo, e così via (tanto più che ormai la Carta delle Nazioni Unite tutela l’integrità territoriale degli Stati e condanna qualunque aggressione militare non giustificata dai fini stessi che la Carta si propone).


Causa di dissoluzione interna = Comprende, invece, tutti i casi in cui uno Stato si dissolve a causa di fenomeni politici interni quali le rivoluzioni, le lotte d’indipendenza, le guerre civili, le insurrezioni, ecc. Tra le varie possibilità vi può essere quella che una o più regioni di uno Stato decidano di rendersi indipendenti, dando vita sul loro territorio ad un nuovo Stato sovrano (caso della secessione: il noto esempio è quello degli Stati confederati meridionali che decisero di secedere dagli Stati Uniti d’America nel 1861), o quella in cui più regioni o nazioni all'interno di uno Stato decidano di rendersi indipendenti, conducendolo alla dissoluzione (caso dello smembramento: è il caso della Jugoslavia tra il 1991 e il 1995, sebbene c’è chi ritenga che la Serbia sarebbe stata la diretta continuatrice dello Stato jugoslavo. Non parrebbero esservi dubbi, invece, che un esempio di smembramento sia costituito dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1991): la differenza tra il primo e il secondo caso è che con la secessione lo Stato ad essa antecedente continua ad esistere, mentre con lo smembramento esso scompare. Vi possono essere poi i casi in cui una rivoluzione o una lotta per l’indipendenza rovescino il governo costituito, dando vita ad uno Stato sorretto da un nuovo governo rivoluzionario: se tale governo si sorregge su principi politici del tutto incompatibili con quelli del governo predecessore, è probabile allora che il precedente Stato possa considerarsi estinto, specialmente nel caso in cui il governo rivoluzionario decida di mutarne il nome e le istituzioni politiche: è il caso dell’Impero russo in seguito alla rivoluzione bolscevica dell’ottobre del 1917 e della successiva nascita dell’Unione Sovietica nel 1922. Altri casi si sono avuti con la lotta d’indipendenza dalla dominazione coloniale, che comportarono spesso il mutamento del nome dello Stato.

Riguardo invece alla dissoluzione consensuale, è illuminante riportare quanto affermato da Rousseau nel Contratto Sociale. Egli sostiene infatti di

non esservi nello Stato nessuna legge fondamentale che non possa venir revocata, neppure il patto sociale. Infatti, se tutti i cittadini si riunissero per rompere questo patto di comune accordo, non c’è dubbio che verrebbe rotto in forma legittima.

E’ quindi abbastanza chiaro che nell'ottica di Rousseau la volontà generale della nazione potrebbe, se esprimesse parere positivo in questo senso, sciogliere la società civile e restaurare il preesistente stato di natura.
Tra l’altro, parrebbe che in linea di massima anche Hobbes non si opporrebbe a quest’idea, anche se da un ritorno allo stato di natura, secondo il suo pensiero politico, l’uomo ci avrebbe tutto da perdere. E ciononostante il filosofo inglese si sofferma pure su argomenti di natura più tecnica (alcuni dei quali possono apparirci oggi quasi umoristici) tesi a mostrare quali elementi comporterebbero l’indebolimento e la dissoluzione dello Stato - argomenti che sono poi alla base dell’ “assolutismo” hobbesiano - :
1) La mancanza di potere assoluto, 2) il giudizio privato del bene e del male, 3) gli errori di coscienza e la pretesa di ispirazioni soprannaturali, 4) la subordinazione del potere sovrano alle leggi civili, 5) l’attribuzione ai sudditi di un diritto di proprietà assoluta, 6) la divisione del potere sovrano, 7) l’imitazione delle nazioni vicine e dei modelli politici “libertari” dell’antichità classica, 8) la supremazia dell’autorità spirituale su quella politica, 9) il governo misto, 10) le ristrettezze finanziarie dell’erario, 11) i monopoli commerciali, 12) gli uomini popolari e ambiziosi, 13) l’eccessiva estensione territoriale dello Stato, 14) la libertà di contestare il potere sovrano, 15) la volontà insaziabile di estendere il proprio dominio politico, 16) la conquista di nazioni non integrate, 17) la letargia nel benessere, 18) le spese inutili, 19) la sconfitta in guerra con conseguente deposizione e/o abdicazione del sovrano.
In conclusione, possiamo affermare che, indipendentemente da quali siano i metodi utilizzati per la dissoluzione, le possibilità per gli esseri umani risultano in quella circostanza due sole: o tornare allo stato di natura o sottostare al dominio e alla potestà di un nuovo Stato. 

Allegoria della distruzione del Leviatano

Riferimenti bibliografici:

Aristotele, Politica e Costituzione di Atene, Torino, UTET, 2006.
Sant'Agostino, La Città di Dio, Milano, Mondadori, 2011.
L. Gambino, Brani di Classici del Pensiero Politico, Torino, Giappichelli, 2002.
T. Hobbes, Leviatano, Bari, Laterza, 2010.
J. J. Rousseau, Il Contratto Sociale, Bari, Laterza, 2006.


Nessun commento:

Posta un commento

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...